(15 giugno 2020) I ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, alla guida di un team internazionale, sono riusciti ad ottenere informazioni molecolari da una mummia dell’Antico Egitto senza pregiudicare l’integrità del reperto. Per lo studio è stata utilizzata una metodologia innovativa basata sul contatto tra la pelle della mummia ed una membrana che estrae le proteine presenti sulla superficie in modo non invasivo, rendendole disponibili per le analisi: si tratta di una membrana di etilene vinil acetato, “EVA”, funzionalizzata con un medium cromatografico. Grazie a questa tecnologia, sviluppata dal Politecnico di Milano e da Spectrophon Ltd e finora utilizzata solo per lo studio di manoscritti, tessili e dipinti risalenti al massimo a qualche centinaio di anni fa, il team è riuscito a sequenziare le proteine della pelle mummificata e a caratterizzare il microbioma presente sulla superficie del corpo di una giovane donna vissuta a Gebelein (Alto Egitto) durante l’Antico Regno, oltre 4000 anni fa. La mummia, rinvenuta negli anni Venti del secolo scorso durante gli scavi della Missione Archeologica Italiana (M.A.I.), è custodita presso il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino (MAET). Lo studio del microbioma ha permesso la scoperta di potenziali microrganismi del degrado, un dato importante per progettare il futuro monitoraggio dello stato di conservazione della mummia. Lo studio, dal titolo “Never Boring: Non-invasive Palaeoproteomics Of Mummified Human Skin”, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Archaeological Science, rivela inoltre dettagli inediti sul processo di mummificazione a cui è stato sottoposto il corpo.
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