di Paolo Pagliaro
(9 febbraio 2016) L’economista Gianfranco Viesti fa notare che, nel disinteresse generale, le politiche di sviluppo del Sud sono sostanzialmente scomparse. Fatta salva la breve azione dei ministri Barca e Trigilia, l’interesse dei governi per il tema è praticamente inesistente. Non c’è più nemmeno un ministro o un sottosegretario che abbia la delega alle politiche di coesione. Le aree deboli del paese stanno sperimentando la peggiore congiuntura economica della storia unitaria. E quando la Confcommercio diffonde, come ha fatto questa mattina, dati sconfortanti sull’aumento del disagio sociale, sconta il peggioramento di tutti i parametri misurati nel Mezzogiorno.
Ma c’è un altro aspetto dello squilibrio territoriale, che non riguarda nord e sud, ed è il divario tra pianura e montagna. Oggi al Senato è stato presentato un rapporto realizzato da Cer e Trentino School of Management da cui risulta che se la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse 900 mila.
Presidio idrogeologico e della biodiversità, custode della qualità dell’aria e della qualità delle acque – dunque della qualità della vita – la montagna in Italia sembra sempre più abbandonata a se stessa.
Dal report intitolato “La montagna perduta” emerge però che lo spopolamento è un processo non uniforme, perché in due regioni, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, la popolazione è invece aumentata. Merito di politiche pubbliche adeguate, con le risorse dell’autonomia investite in infrastrutture e reti informatiche, servizi come sanità, istruzione e trasporti, incentivi ai distretti industriali specializzati e alle produzioni agricole di qualità.
Il ripopolamento della montagna si sta inoltre rivelando, in alcune zone d’Italia, un modo intelligente di gestire i flussi migratori. Favorisce l’integrazione dei nuovi arrivati e il ritorno alla vita dei territori abbandonati.