di Paolo Pagliaro
(7 novembre 2018) La sua leadership è fondamentalmente bonapartista, con un’efficace comunicazione politica basata sulla pressoché totale disintermediazione con l’elettorato, su un costante contatto diretto con le folle e sul dileggio nei confronti dei media tradizionali. Ma questo tipo di leadership mal si sposa con l’impianto politico-istituzionale prescritto dalla Costituzione, e con la logica dei pesi e contrappesi su cui si fonda la democrazia liberale. Potrebbe sembrare una riflessione sull’attualità italiana mentre invece riguarda Trump, anzi “Apocalypse Trump”, come si intitola il libro scritto da Stefano Graziosi per le Edizioni Ares.
Anche per chi studia il trumpismo è tempo di bilanci di metà mandato. Graziosi è convinto che molto del futuro politico di Trump si giocherà sulla capacità di mantenere dei buoni rapporti col congresso parzialmente rinnovato ieri. Negli Stati Uniti i padri costituenti furono influenzati dalla lettura dei classici come Platone e Aristotele ed è anche per questo che la Costituzione americana presenta una serie di meccanismi per bilanciare i vari poteri e diluire, in qualche modo, il peso della volontà popolare. Come scrive Ferruccio De Bortoli nella prefazione, gli americani votano Trump anche per i suoi difetti, per il suo carattere, per quella volontà di spezzare le regole del politicamente corretto, di liberare il paese dai suoi troppi impegni internazionali, di riequilibrare la bilancia commerciale difendendo il lavoro anche con misure protezionistiche. Ma a impedire gli eccessi di questa politica spesso pericolosamente spavalda ci sono istituzioni forti e una classe dirigente di qualità.
Ne parla lo storico Giuseppe Mammarella, professore emerito a Stanford, nel suo “America First” pubblicato dal Mulino. E’ un ritratto inatteso dell’America d’oggi: un paese profondamente diviso, che sembra aver perso le coordinate della sua azione politica, ma che dimostra però di avere un’eccezionale vitalità e grandi capacità di ripresa.
(© 9Colonne - citare la fonte)