Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

La Cina un “Paese rivale”?
Non è l’aggettivo giusto

La Cina un “Paese rivale”? <br> Non è l’aggettivo giusto

di Carlo Perrotta*

(25 marzo 2019) Nel suo recentissimo rapporto sulla Cina (https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/communication-eu-china-a-strategic-outlook.pdf), l’Unione europea fa ricorso per la prima volta al termine “Paese rivale”, promotore cioè di una diversa visione del mondo o per l’esattezza di “un modello di governance alternativo” fondato su concorrenza sleale, rapporto opaco fra stato e imprese, ambiguità nella lotta ai cambiamenti climatici e altre consuete doglianze, fra cui scarso rispetto per i diritti civili e politici a casa propria ed erogazione di risorse in Africa senza incoraggiarvi per lo meno il buon governo.

Vasta è stata come noto l’eco suscitata sui media, anzitutto certamente per l’appello, pure ivi formulato, all’unità fra i Paesi membri, ovvero una neanche troppo velata tirata d’orecchie all'Italia rea di avere, invece, firmato individualmente l’intesa riguardante la c.d. nuova via della seta; ma in generale tutti, da Le Monde al Pais passando per Financial Times e Frankfurter Allgemeine Zeitung ne hanno parlato come di una “svolta”, un “cambio di tono” e simili, dando proprio risalto alla sopra ricordata introduzione del termine “rivale”.

Termine che tuttavia in nessuno dei suddetti articoli sembra esser stato analizzato quanto a pertinenza: di rivalità si parla infatti ad esempio nello sport, dove implica vittoria o sconfitta, sul presupposto tuttavia di regole condivise. Ma nel Rapporto Ue proprio l’assenza di intesa sulle regole viene segnalata nel riferimento al carattere alternativo dei modelli di governance, mentre il risultato auspicato, cioè una governance globale in armonia, resta difficile da declinare come vittoria o sconfitta. Si parla di rivalità poi in amore: ma allorché si riferisce al proprio e a quello cinese come modelli alternativi, l’Unione europea è lungi dal considerarli equivalenti, come invece sono le opposte pretese dei contendenti verso la persona amata.

E persino nel più spietato degli impieghi, in duello, al rivale si azzerano torti e ragioni, decide soltanto la spada e le regole, si perdoni il calembour, sono ferree.

Insomma ovviamente il termine corretto sarebbe stato “avversario”. Oppure, diplomaticamente, un suo iperonimo, ad esempio "antagonista". Ma rivale che c’entra? C’entra se ci si sofferma sulla prudenza, forse addirittura il timore reverenziale da cui questo preteso cambio di tono, questa svolta dell’Unione europea sembra afflitta: ad esempio, quando ormai finanche dal tabaccaio sotto casa si discute apertamente se dalla Huawei vengono o meno trasmessi allo spionaggio cinese i dati sugli utenti telefonici, nel Rapporto Ue la frase che meno gli si allontana suona in buona sostanza “gli investimenti esteri nei settori strategici pongono rischi per la sicurezza e questo vale specialmente per la tecnologia 5G”.

E con tale genericità si tradisce proprio la mancanza di quanto si va invece invocando: ovvero l’unità fra i Paesi Ue sull’argomento. Che fra l’altro è un tema di ben più calda attualità rispetto alla nuova via della seta… tutta invece ancora da tessere.

*Ambasciatore d'Italia ad Harare

(© 9Colonne - citare la fonte)