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direttore Paolo Pagliaro

Terrorismo: spiegazioni
che annacquano,
soluzioni che annegano

di Arnaldo di Latebiosa

(1 ottobre 2019) In relazione al sempre vivo dibattito sul terrorismo è emblematica la recente monografia della Oxford University Press “Perché ci si radicalizza?” (1) nella cui casistica viene fatta rientrare la famigerata brigatista Ulrike Meinhof, attiva nella Gemania ovest degli anni ’70, e così pure il terrorismo andino di Sendero Luminoso e le FARC, i narco-rivoluzionari colombiani.
Ora, con tutto il rispetto per la prestigiosa casa editrice, “radicalizzazione” è un vocabolo entrato nel lessico del terrorismo con riferimento agli attentati di matrice islamica e grosso modo, notoriamente, a partire dalle Torri Gemelle, cioè dal 2001. L’estensione retroattiva alla Germania degli anni ’70, alle FARC ed altri deliri sovversivi andrebbe quindi effettuata con molta cautela: altrimenti ci si perde nella tanto deplorata “notte” in cui secondo Hegel “tutte le vacche sono nere” (2) e resta ad esempio incomprensibile perché ci si fermi ad Ulrike Meinhof senza risalire magari a Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo del 1914, oppure più indietro ancora Guy Fawkes, lo sfortunato dinamitardo inglese del ‘600 e perché no, si perdoni l’umorismo, Bruto o Caino?
Per la radicalizzazione, un conto sono insomma le definizioni istituzionali o governative, cui si richiede di essere politicamente corrette, un conto sono quelle degli studiosi, cui si richiede di esserlo scientificamente.
Da analogo equivoco impiego del termine radicalizzazione sembra affetto il rapporto stilato da un gruppo di esperti su incarico della Commissione Ue nel 2018 (3), che poco sorprendentemente infatti si limita a raccomandazioni che nella loro astrazione varrebbero tanto per il terrorismo che per la PAC, la politica agricola comune e cioè: istituire uno steering group fra Stati membri, una struttura di coordinamento all’interno della Commissione, convocare una riunione per favorire lo scambio di informazioni eccetera eccetera.
E sempre in tale chiave, va altresì menzionato un volume uscito a ridosso della strage di Pasqua in Sri Lanka e che, divorando meridiani e parallelismi, spazia dall’Isis in Siria all’India dei ribelli maoisti, dalla resistenza in Myanmar alle cellule di kamikaze uzbeki in Svezia, e molto oltre, in generosa ottemperanza del resto all’ambizioso titolo “Terrorismo ed insurrezioni in Asia: uno studio contemporaneo di movimenti terroristi e separatisti” (4).
Quanto ai movimenti separatisti, tuttavia, sarebbe stata forse perlomeno da motivare l’assenza di un capitolo su quello curdo, il principale, secondo molti, in Asia, e che peraltro perfettamente ricalca il titolo del volume, essendo infatti anche insurrezionale, per l’esattezza in Siria, e terrorista, in Turchia, tramite il PKK, il partito curdo dei lavoratori, almeno stando alle liste stilate dall’Unione europea. Nelle quali invece nulla risulta a carico ad esempio degli Uiguri, i turcomanni nel nord ovest della Cina, nel volume invece citati proprio in relazione al terrorismo. E definiti anche “insorti” pur in assenza anche solo dell’ombra dei requisiti previsti dal diritto internazionale, cioè una struttura militare riconoscibile ed ancor meno il controllo del territorio. Difficile poi spiegare perché con riferimento all’Iran venga descritta l’attività in Asia centrale e taciuta quella in Siria e Libano, ben più vivacemente presente nelle cronache. E manca inoltre all’appello Timor Est, che resta pur sempre un caso ‘contemporaneo’, come richiesto dal titolo del volume, ancorché certamente ne sia venuta meno l’attualità. Le domande potrebbero proseguire, nel dettaglio.
Ma il problema risiede all’origine, e non solo nel pur precipitoso accostamento fra insorgenza, terrorismo e separatismo, bensì nello stesso ambito prescelto per l’indagine geografica, l’Asia, di cui a stento si coglie l’impellenza, posto che tale continente è privo ad esempio del corrispondente organismo multilaterale con competenza in materia, come lo sono invece l’Unione europea, quella africana o l’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani. Messa così ‘terrorismo, separatismo e insurrezioni in Asia’ suona geograficamente fondato e tematicamente stringente come suonerebbe, si perdoni di nuovo l’umorismo, uno studio intitolato ‘Cucina vegana, filetto al sangue e millefoglie a Pinerolo’.
Di approcci siffatti insomma, che tutto riuniscono senza collegare, sempre meno si sente il bisogno, francamente. Anzi sarebbe ora, il politicamente corretto, di accantonarlo, almeno in sede scientifica, concentrando piuttosto ogni sforzo sulle differenze, le singolarità, da inseguire fino alla loro radice così da dedurne opportune, urgenti e soprattutto specifiche soluzioni, se non altro in memoria delle vittime delle stragi di cui sopra. E di quelle purtroppo a venire.

(1) K van den Boos, Why People Radicalize (New York: Oxford University Press, 2018)
(2) Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Prefazione.
(3)https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-security/20180613_final-report-radicalisation.pdf
(4) B Schreer, A.T.H.Tan (eds.) Terrorism and Insurgency in Asia, a Contemporary Examination of Terrorist and Separatist Movements (Oxford, New York, Routledge, 2019).

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