“Per i rientri di cittadini italiani iscritti all’Aire nei prossimi 3 – 4 mesi si stimano circa 100.000 rientri da tutto il mondo, in una composizione per paese analoga a quella rilevabile dai dati Istat di espatri degli ultimi 3 anni”. Lo afferma il Consiglio generale degli italiani all’estero, chiedendo al governo italiano interventi a favore degli italiani all’estero che saranno costretti a rientrare in Italia. Nella fattispecie la stima fatta “è basata sulla possibilità che vi sia una maggiore propensione al rientro da parte dei connazionali di più recente emigrazione trasferitesi negli ultimi 3-5 anni e non ancora definitivamente integrati nel tessuto socioculturale dei paesi di arrivo” fa sapere il Cgie. Si tratta di italiani residenti all’estero in forma stabile: “per molti di loro sono plausibili i rischi di un rimpatrio forzato causato dalla chiusura di piccole e medie imprese o di autonomi, nello specifico di lavoratori interinali con qualificati profili professionali, di occupati nella filiera della gastronomia e ristorazione italiana, di manodopera stagionale e dei frontalieri”, prosegue il Cgie sottolineando che “per questa categoria di cittadini residenti stabilmente all’estero se saranno costretti a rientrare in Italia, il nostro Paese dovrebbe prendere in considerazione, a livello nazionale, la loro integrazione nel mondo del lavoro con un intervento normativo da inserire nel piano della ripresa e dello sviluppo del nostro Paese, favorendo politiche attive al lavoro”. Perciò il CGIE ritiene “essenziale estendere (non aggiungere) a questi soggetti, compresi i frontalieri, rientrati in Italia per la perdita del lavoro, le indennità previste per le lavoratrici e i lavoratori italiani nelle misure contenute nei DL 9 e 18 di marzo 2020”.
Ricordando che nella “prima fase il nostro ministero degli Affari esteri ha modulato gli interventi verso l’estero dando priorità al rientro di oltre 30'000 connazionali, prevalentemente temporanei all’estero e/o turisti”, il Cgie sottolinea la condizione diversa dei residenti all’estero in forma stabile: “Considerate le loro potenzialità e le capacità maturate all’estero questi dovrebbero essere inseriti nei piani di sviluppo del Paese, che passano da una prima fase di contingente e temporaneo assistenzialismo ad una seconda fase che preveda l’attivazione di percorsi di politiche attive, di avviamento ai processi produttivi e/o imprenditoriali in collaborazione con le strutture regionali dedicate sia pubbliche che private. Ciò permetterà al Paese di riequilibrare il missmatching esistente soprattutto nei settori a vocazione globale, agroalimentare, meccanica, automotive, chimica, farmaceutica, energia, moda e design, turismo e cultura, per sostenere la ripresa produttiva e il rilancio dell’economia nazionale”. Secondo il Cgie “gli interventi a favore dei nostri connazionali all’estero che saranno costretti a rientrare in Italia per la perdita di lavoro dovrebbero essere sostenuti da politiche attive al mondo del lavoro e differenziarsi per area di residenza: l’Unione europea e i paesi del vecchio continente, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia; i paesi extra europei, America latina e centrale, Africa e Asia. Per chi rientrerà dall’Unione europea occorrerà ragionare tenendo in considerazione i diritti comunitari che regolano il mondo del lavoro. Il nostro Paese attraverso il ministro per gli affari europei, Enzo Amendola, è chiamato a far rispettare i diritti, le direttive di protezione e garanzie sociali e previdenziali comunitarie, che prevedono l’utilizzo di fondi comunitari per tutti i cittadini comunitari, anche per chi vive in un paese diverso da quello di nascita. In questa casistica, però, non sono contemplati coloro che rappresentano il problema più grave: i non regolarizzati presso le anagrafi comunali e che, perciò, non pagando le tasse o che lavorano saltuariamente o in forma occasionale sono esclusi dalle forme di assistenza sociale. Questi ultimi costituiscono il problema: o si cerca la soluzione con il paese ospitante, oppure rientrando il Italia servirà assisterli nelle forme contenute nella decretazione di emergenza. Per chi rientrerà dai paesi extraeuropei, invece, occorrerà un intervento mirato da parte del nostro paese, che tenga conto sia dell’integrazione nel mondo del lavoro, sia di ulteriori aspetti particolari di inserimento sociale con interventi differenziati, ma che contemplino in ogni modo il riconoscimento, seppur temporaneo degli aiuti previsti dai decreti emergenziali”.
“Calcolando che negli ultimi 3 anni, il flusso di nuova emigrazione registrato dall’Istat si situa tra i 145.000 e i 165.000 per un totale indicativo di circa 450.000 espatri, si ipotizza che circa un 25-30% di essi possa rientrare in Italia. L’intervento di natura assistenziale che dovrà assumere il nuovo decreto dovrebbe essere immediatamente legato alla possibilità di poter accedere, una volta in Italia, al reddito di cittadinanza con opportune deroghe sul periodo di residenza pregresso e quindi alle successive misure di orientamento previste. Altrimenti l’arrivo di questi connazionali andrebbe oggettivamente ad aggravare la situazione di tensione sociale già presente - prosegue il Cgie -. Quanto alla distribuzione per aree continentali può essere presa a misura percentuale la stessa ripartizione che emerge dagli stessi dati Istat sui paesi di arrivo della nuova emigrazione negli ultimi 3 anni. Un freno di contenimento al rientro forzato di nostri connazionali può essere esercitato con la maggiorazione di fondi utilizzati dal ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, (quest’anno dotato di 6 milioni di euro) per ‘l’assistenza diretta e indiretta’ ai nostri connazionali indigenti e in difficoltà, utilizzato dai consolati italiani per comprovati casi di necessità. Un’attenzione di questa natura costituirebbe un riconoscimento all’impegno che i Comites, le associazioni italiane e il CGIE hanno messo in campo per aiutare l’Italia”. Il Consiglio generale degli italiani all’estero “richiama all’attenzione del Governo un modello che ha fatto scuola: il felice intervento del fondo di solidarietà a favore degli italiani in Argentina degli inizi di questo secolo con il quale l’Italia stipulò un’assicurazione sanitaria per i bisognosi, che non potevano pagarsi le cure e l’assistenza medica. E’uno sforzo, in questa difficile prova che sta vivendo il nostro Paese, di dignità e di solidarietà, che potrà sortire nuove forme di cooperazione per il rilancio del nostro Paese”. (sip - 6 apr)
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