di Paolo Pagliaro
(8 ottobre 2021) Dopo lo strappo, poi rientrato, della Lega, Mario Draghi ha detto che l’azione del suo governo non seguirà il calendario elettorale. E’ una delle dichiarazioni più impegnative e promettenti che un politico italiano possa fare, ed è un peccato che non abbia avuto il rilievo che meritava. Da anni, infatti, siamo ostaggio di una campagna elettorale permanente che ha visto molti governi interessati più al consenso che al futuro del Paese a loro affidato.
C’è da dire che la campagna elettorale permanente, che ha costi di ogni genere e tutti altissimi, non è un’invenzione italiana, Ne parlò per la prima volta, 40 anni fa, Sidney Blumenthal, in seguito spin doctor di Bill Clinton. Fu lui a sostenere che il concetto di campagna elettorale permanente sarebbe diventato “l’ideologia politica della nostra epoca” e i fatti gli hanno dato ragione.
Ma in Italia di questa ideologia si è abusato, complice anche un calendario elettorale fuori controllo. Fino al 1970, gli unici appuntamenti nazionali con le urne erano riservati alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato, che si tenevano regolarmente ogni cinque anni. Le strategie dei partiti erano basate sulla durata della legislatura, e a nessuno veniva in mente di chiedere elezioni anticipate ogni due per tre. Poi tutto cambiò e ora ogni anno, come ha calcolato il politologo Luca Tentoni, ci sono 78 probabilità su cento che si svolgano una o più consultazioni importanti.
E dunque in questi giorni viene vissuto come una provocazione elettoralmente indigeribile il proposito di ridurre la distanza abissale che c’è la tra la realtà immobiliare e il catasto che dovrebbe fotografarla. Mentre lavora a questa riforma destinata a migliorare l’Italia, Draghi ha sicuramente in mente quel che diceva de Gasperi: un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione.
(© 9Colonne - citare la fonte)