di Paolo Pagliaro
Anche in Italia per dare in concessione un bene pubblico sarà necessario bandire una gara. E’ la regola, a tutela della libera concorrenza, che da 15 anni l’Unione Europea ci chiedeva invano di rispettare e che ora il governo ha finalmente deciso di tradurre in legge.
Verranno così rimesse in discussione - con tutte le cautele, i distinguo e i ristori del caso - le 12.162 concessioni per altrettanti stabilimenti balneari che si sono insediati lungo le nostre coste, in alcuni casi valorizzandole, in altri devastandole. In cambio di queste concessioni, nel 2019, ultimo anno di dati disponibili, lo Stato ha riscosso canoni per 83 milioni. Nello stesso anno i concessionari, secondo i calcoli di Nomisma, hanno fatturato 15 miliardi.
In alcune località di turismo di lusso i canoni sono ridicoli. Legambiente fa l’esempio delle 59 concessioni del Comune di Arzachena, in Sardegna, per ciascuna delle quali lo Stato incassa mediamente 320 euro l’anno.
Che qualcosa non funzioni è chiaro anche ai diretti interessati. Fece scalpore tempo fa, una schietta intervista di Flavio Briatore a Gian Antonio Stella, in cui l’imprenditore chiedeva allo Stato di moltiplicare per cinque o sei il canone del suo Twiga, lo stabilimento che a Marina di Pietrasanta occupa quasi 5 mila metri quadrati di lido. Per quella concessione Briatore pagava un affitto di 17 mila euro l’anno, a fronte di incassi per 4 milioni.
Recentemente il Consiglio di Stato, ha deciso lo stop all’ennesima proroga delle concessioni, tagliando ogni via di fuga alla politica. Dal 2024 le spiagge saranno dunque messe a gara, e avrà un punteggio alto chi avrà tenuto basso il prezzo dell’ombrellone.