di Paolo Pagliaro
Russia e Ucraina coprivano, prima della guerra, il 12% del fabbisogno calorico mondiale, essendo tra i maggiori esportatori di grano, frumento, orzo, semi di girasole e fetrilizzanti. L’embargo, il blocco delle reti di trasporto, i terreni agricoli trasformati in campi di battaglia stanno portando miseria e fame anche oltre i confini dell’Ucraina. Secondo il nuovo Rapporto globale sulle crisi alimentari - pubblicato in questi giorni per iniziativa della Fao e dell’Unione Europea – la situazione era già drammatica prima della guerra, con un rischio di morte per carestia aumentato del 570% in paesi come Etiopia, Sud Sudan, Madagascar e Yemen. Ma ora la situazione sta diventando insostenibile anche in paesi come Giordania, Libia, Libano ed Egitto. Questo tra l’altro spiegherebbe, secondo alcuni analisti, i molti no in sede Onu alle sanzioni contro la Russia.
La questione riguarda anche l’Italia, che è sempre meno produttore e sempre più importatore di grano tenero e di grano duro. Come ricorda Vittorio Emiliani su Italia Libera Online, abbiamo ben 3 milioni e mezzo di ettari “inattivi”, cioè abbandonati, dei quali soltanto un modesto 4 per cento ricoperto di alberi spontanei probabilmente fragili e poco utilizzabili come legname. Negli ultimi decenni hanno chiuso i battenti quasi 250 mila imprese agricole. Il tentativo di favorire un cambio di rotta si affida ad iniziative come la Banca nazionale delle terre agricole, con cui l’Ismea mette all’asta 20 mila ettari per potenziali nuove aziende. L’offerta è rivolta soprattutto ai giovani, le condizioni sono di favore e l’asta scade il 5 giugno.
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