di Paolo Pagliaro
I governi passano l’Italia resta dice Draghi e tra le cose che restano ci sono anche i 73 tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo Economico. Si tratta di altrettanto vertenze che potrebbero risolversi in nuove prospettive di sviluppo oppure in chiusure e licenziamenti. In ballo ci sono 95 mila posti di lavoro e sul sito di Collettiva, la rivista della Cgil, c’è l’elenco aggiornato delle fabbriche e delle città interessate: si va dalla Wartsila di Trieste alla Whirlpool di Napoli, dalla Blutec di Palermo alla Fimer di Arezzo, dalla Primotecs di Torino alla Maier di Bergamo. Un elenco ordinato per settori produttivi: industria, alimentare e credito, chimica e farnaceutica, edilzia ed elettronica, tessile, pelletteria e ceramica. Al ministero approdano solo le vertenze che riguardano imprese con più di 250 addetti, che in Italia sono un piccola percentuale; sotto quella soglia le difficoltà delle aziende vengono affrontate a livello locale, e qui diventa più difficile la contabilità dei posti a rischio.
Non li quantifica neppure l’Istat che però ieri ha detto di attendersi nei prossimi mesi un deterioramento del mercato del lavoro. Sempre l’Istat fa sapere che un quarto della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale. Stanno peggiorando anche le disuguaglianze: ora il reddito delle famiglie più abbienti è 5,8 volte quello delle famiglie più povere. Sarebbe stato decisamente più alto (6,9) in assenza di interventi di sostegno come il reddito di cittadinanza. Avendolo paragonato al metadone, difficilmente anche Giorgia Meloni potrà farne a meno.