di Paolo Pagliaro
In settembre i prezzi sono aumentati dall’8,9% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, ma peggio ha fatto il carrello della spesa - che raggruppa i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona: in questo caso l’aumento è stato del 10,9% e l’Istat oggi dice che bisogna risalire a 40 anni fa, al 1983, per trovare un incremento superiore.
L’inflazione non è una tassa progressiva, anzi: colpisce le famiglie meno abbienti più che quelle benestanti. Chi ha rediti bassi è più colpito perché ha una più elevata quota di spesa relativa ai beni – come l’energia e gli alimentari - che hanno subito i maggiori rincari. Sono prodotti dei quali difficilmente si riesce a fare a meno perché non si può rinunciare a riscaldare la casa, consumare l'acqua e mangiare. Peraltro ai poveri costa di più persino divertirsi e alla fine, tirando le somme, si scopre che nel terzo trimestre dell'anno i meno abbienti sono stati esposti a rincari dell'11,6%, mentre per i più facoltosi ci si è fermati al 7,6%. Ci sono quattro punti percentuali di differenza e la forbice si sta allargando.
L’inflazione ha un costo sociale elevato e può comportare, per chi governa, anche un prezzo politico. Lo sa bene Biden, che – secondo l’economista Rony Hamaui - deve l’attuale scarsa popolarità anche al fatto che gli americani debbano spendere cinque dollari al gallone per fare il pieno. E lo sa Meloni, che – in procinto di trasferirsi a Palazzo Chigi - ha smesso di attribuire ai governi la responsabilità del carovita.