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La politica che rinuncia anche al proprio passato

La politica che rinuncia anche al proprio passato

di Salvatore Tropea

Nel cafouillage che agitò i partiti dopo la rivoluzione di Mani pulite che nessuno chiama più rivoluzione, nel tentativo di mettere una pietra sul passato soprattutto se impresentabile, qualcuno s’inventò la fine dell’ideologia e, dapprima in maniera sommessa poi sempre più esplicitamente, approdò alla conclusione “non c’è più destra non c’è più sinistra”. Provando anche a spiegare le ragioni di questa sparizione senza peraltro convincere un paese che non sembrava neppure tanto interessato alla storica diversità lasciandosi trascinare dalla voluttà di sostituire il vecchio caro partito di tutti col partito del capobanda del momento.
Nella convinzione, o meglio nella comoda presunzione che, come cantava Giorgio Gaber il pensiero liberale era di destra ma poteva andare bene anche per la sinistra. Todos caballeros e si può felicemente ricominciare daccapo; in assenza di linee guida e soprattutto di vergogna si piò scorrazzare da un partito all’altro e se questi non sono ideologicamente accostabili o vicini poco importa. Tanto destra e sinistra sono la stessa cosa e poi quello che conta è il potere del capobanda che, non avendo alcun riferimento di partito e meno che mai di ideologia, si trascina a spasso il suo gruppo di masnadieri e insieme o in ordine sparso, quando si presenta l’occasione, sollecitano e gradiscono offerte per qualsiasi causa.
Su questa deriva, com’era inevitabile, se ne sono viste di tutti i colori, sono comparsi sulla scena figuri con i quali nessuna persona normale accetterebbe di prendere un caffè, con seguito di manette e arresti domiciliari. Insomma, l’ideologia, la fede politica, la passione, le ambizioni affidate ai colori per cui si può passare da un governo giallo verde per dire di centro destra a un governo giallorosso per dire di centro sinistra e sempre con gli stessi protagonisti pronti a sostenere con disinvoltura quanto avevano negato il giorno prima. Senza dover dare conto a nessuno di cosa si fa, dove si va e con chi.
Per poi piangere lacrime di coccodrillo sulla perduta identità e c’ anche chi non fa neppure questo, accontentandosi di mettersi al vento e intestandosi nuove formazione politiche, naturalmente senza alcun riferimento ideologico ma all’insegna del “fare” che tanto piace a chi finge di confondere inavvertitamente fare con affare con quell’indifferenza che giorno dopo giorno ha spinto masse di cittadini verso il rifiuto della politica e del voto prima nella periferia e poi anche nel centro delle città. “Non ha più senso dire destra o sinistra” ha sentenziato l’altra sera Letizia Moratti candidata della lista che porta il suo nome sostenuta da Renzi e Calenda (più dal secondo che dal primo). Uno sguardo fugace alla sua carriera e si capisce perfettamente la filosofia di chi trova comodo cancellare una differenza per poter transitare per le strade di una politica senza passato o con tanti passati.

(© 9Colonne - citare la fonte)