di Paolo Pagliaro
Il 12 e 13 febbraio dodici milioni di cittadini sono chiamati a rinnovare le amministrazioni di Lombardia e Lazio, ma nel dibattito elettorale fatica a farsi strada la questione più importante di competenza delle Regioni e cioè la sanità. Una rimozione inspiegabile, visto che la politica sanitaria assorbe gran parte della spesa regionale. In Lombardia vale il 76% degli impegni. cioè 22 miliardi; nel Lazio quasi il 70%.
In entrambi in casi, una quota sempre più significativa di questo denaro - che viene dallo Stato e dunque dalle tasse - serve ad acquistare i servizi offerti dalla sanità privata. Sei miliardi e mezzo in Lombardia, quasi quattro nel Lazio. Il travaso di risorse verso gli operatori privati, che aumenta ogni anno e in Italia sta per arrivare a un quarto della spesa complessiva, depotenzia inevitabilmente la sanità pubblica, con le conseguenze drammatiche viste nei due anni della pandemia e riscontrabili oggi, ad esempio, nelle corsie degli ospedali dove manca il personale, nello scandalo delle liste d’attesa o nello stato d’abbandono in cui versano molti reparti di pronto soccorso.
Proprio ieri l’ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto che nei rapporti con la sanità privata si provveda a garantire la trasparenza, ridurre al minimo i rischi di bilancio e salvaguardare l'interesse pubblico. Nei giorni scorsi era stata la Corte dei Conti a sollevare più di un dubbio sull’efficacia delle politiche sanitarie regionali, rilevando che chi spende di più spesso spende peggio, in termini di assistenza ospedaliera, prevenzione e servizi territoriali. Temi cruciali ma a quanto pare di scarso appeal.
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