Alla fine non è stata la mano a partirgli, ma il cuore; e così è morto Lucio Dalla: nella vicina Svizzera, accasciato in una toilette, andato per infarto. Scoramento della nazione, partecipazione di massa in puntate televisive commemorative, le facce note dei Morandi, degli Arbore, dei Ron, esplicitamente contrite, appassite e doloranti, forse anche perché, tra il sincero strazio della perdita di un amico, c'era anche il picchio della domanda: chi sarà il prossimo? Quando morì un altro grandissimo, prima dei sessant'anni, il padre di tutti i cantautori nostrani, anche di quelli cui lui era più giovane, Fabrizio De Andrè, ci fu una simile reazione pubblica. La coesione territoriale si manifesta in quella musicale: siamo tutti improvvisamente affranti per Faber, come lo saremmo stati per Lucio. Perché se ognuno parla il suo dialetto, tutti cantiamo in italiano. E cantare in italiano significa sentire in italiano. Per questo la reazione pubblica è stata simile, ed identica per un fatto che si chiama Francesco De Gregori. Forse quello che insieme era più associabile sia all'uno che all'altro, di conseguenza il più adatto alla commemorazione. Invece disertò quella per l'amico fragile, e diserta quella per il caro amico che scrive. Le diserta, per ovvio inciso, nella percezione pubblica. In quella privata è da scommetterci che contempli la ferita dei suoi pezzi di vetro, in attesa di una impossibile rimarginazione. Questo per dire che se è vero, come canta a sua volta Ivano Fossati, che ogni buon maestro si fa invisibile, è altrettanto vero che si può segnare una distanza dal cordoglio nazionale anche nello stesso, partecipandovi dentro e non fuori. Fuori restano le contese sull'eredità, le polemiche sulla chiesa che fa eccezione per un mai dichiarato omosessuale, ma praticante cattolico, e ne officia le esequie. Fuori restano quelli che accendono non ceri ma polemiche, e non si esime nessuno, anche grandi scrittori contemporanei, la cui omosessualità precede l'opera. Fuori restano persino le classifiche di vendite, il balzo in su che registrano le canzoni del Dalla post mortem, con stime su quale canzone tiri di più. L'assurdo di ridurre una vita d'artista in una sola canzone, la mania nazionalpopolare dell'epigrafe mediatica, concordata dal consenso di un sondaggio online. Dalla è un genio perché, pur essendo stato parecchio fuori anche lui, con una carriera che non ha lesinato trasformismi truci, e gestualità avanspettacolari, ci ha regalato la lezione del nonsenso, e la canzone più dalliana, non è Caruso, non è Futura, non è Cara, non è Stella di mare, non è Mambo, non è Anna e Marco, non Com'è profondo il mare, non Quale allegria. No. E' una canzone che sappiamo che è Dalla anche se non sappiamo che è di Dalla, e che non ha parole, è Lunedì Film. La sigletta che apriva sulla Rai la serata cinematografica. Un film in 40 secondi.
(Valerio De Filippis)
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