di Paolo Pagliaro
Facebook serve a promuovere i cantanti neomelodici e le loro strofe che esaltano l’onore e l’omertà, e mettono alla gogna i pentiti. Instagram è l’ambiente privilegiato del glamour mafioso. Dove, tramite l’ostentazione del lusso, si diffonde un senso di potere e si fanno proseliti. TikTok veicola le minacce dirette ai nemici, e affida ai tatuaggi i messaggi destinati a chi è capace d’intendere. La rivoluzione digitale ha cambiato il modo di comunicare delle mafie e ora uno studio per la prima volta ci spiega come si è passati dai pizzini ai social. Il “rapporto sulle mafie nell’era digitale”, presentato oggi alla Camera, è stato curato da Marcello Ravveduto per la Fondazione Magna Grecia e verrà pubblicato da Franco Angeli. Sono stati analizzati oltre 90 Gigabyte di video TikTok, due milioni e mezzo di tweet, 20mila commenti a video YouTube e centinaia tra profili e pagine Facebook e Instagram. Per comunicare la mafia oggi si serve di parole – poche - e di molti segni grafici, foto, tracce sonore. E di emoji. Le catene parlano di carcere; il cuore nero significa lutto, la siringa con la goccia di sangue vuol dire fratellanza.
Ma per l’antistato il digitale può rivelarsi una trappola. Dal profilo TikTok di uno dei componenti di una famiglia mafiosa è possibile ricostruire il sistema di relazioni che ruota attorno a quel profilo . Si disegnano così i contorni e l’estensione del network criminale, in rete e nella realtà. Controllare la rete, ha spiegato il procuratore della repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, è fondamentale per capire cosa si muove attorno a noi e come intervenire in tempo per evitare il peggio.