Tra poco ricorrerà il settantacinquesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci (il 27 aprile del 1937 scompariva a Roma, dopo lunga carcerazione). Senza di lui non avremmo avuto il Partito Comunista Italiano, né L’Unità. E non avremmo avuto buona parte del pensiero che sostanzia ancora oggi il nostro. Molti infatti ancora riflettono sull’egemonia culturale, poi diventata pensiero unico; una nozione che il comune linguaggio ed il dibattito quotidiano ha assunto come scontata, ma forse è piacevole ricordare che il primo a coniare l’espressione fu proprio Gramsci. Per sintetizzarla in maniera tanto illuminata, ci voleva una personalità come la sua che teneva insieme il politico, il filosofo, il giornalista, il linguista ed il critico letterario (anche teatrale, se si pensa a quanto concorse al successo di Pirandello). L’egemonia culturale era ed è il concetto secondo cui le classi dominanti imprimono i loro valori, intellettuali, politici e morali a tutta la società, con il fine di tenere insieme e dunque gestire il potere intorno al fulcro d’un senso comune condiviso, invisibilmente imposto. A ricordarlo oggi sembra di descrivere i dieci punti del programma della loggia P2, o più semplicemente la funzione della televisione sulle masse. Certo è che lui impresse una sicura egemonia politica. Ad esempio Togliatti nei discorsi e negli scritti insiste a collocare Gramsci nella linea di pensiero Marx-Engels-Lenin-Stalin. Scrive il Professore ordinario di Filosofia del linguaggio a Palemo, Franco lo Piparo, in un recente articolo, che dopo al caduta del muro di Berlino, studiosi una volta comunisti tornarono a rifare i conti col pensiero e la prassi politica di Gramsci. Grazie a loro i tempi sono oggi divenuti maturi per una precisazione non da poco che lo stesso Lo Piparo raccoglie in un suo recente libro: I due Carceri di Gramsci, Donzelli Editore. Insomma l’uomo e il pensatore Gramsci, in carcere come fuori, è comunista puro o è un comunista in crisi che si domanda se e quanto l’aggettivo “liberale” possa combinarsi col sostantivo “comunismo”? Di questo da conto e il libro e la sinistra contemporanea. Su La Stampa Angelo D’Orsi, analizzando proprio il volume in questione, ne confuta la tesi secondo cui Gramsci nell’ultimo periodo della sua vita avrebbe preso le distanze da Togliatti, confutando anche l’ipotesi secondo cui il segretario del Pci avrebbe occultato uno dei quaderni che avrebbe contenuto passaggi proprio sul comunismo liberale. Una bega filologica – forse - dietro la quale a ben vedere ancora oggi si annida un dilemma mai sciolto.
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