L’Italia del cinema ha prodotto, dal dopoguerra in poi, due filoni di popolarità mondiale: il primo, quello neorealista, intento alla rappresentazione del reale, con caratterizzazioni sociologiche e il secondo, un canone a sé, collocabile sull’altro versante, quello espressionistico, che partendo dal personalissimo inconscio di un individuo, lo ha reso universale: Federico Fellini. Il regista capace di rendere un hotel di Rimini l’albergo nell’universo e la romana Fontana di Trevi, la vasca più sensuale del mondo, in cui tutti si sarebbero buttati (e non per raccogliere gli ultimi spiccioli lasciati romanticamente dai turisti come promessa di eterno ritorno nella eterna città). Come abbia fatto non si sa, appartiene alle opere di genio, che se non fossero un po’ impenetrabili non sarebbero nemmeno tali. Però si può provare a fare un’analisi non filmica quanto psicologica dell’autore di Otto e mezzo, usarla come grimaldello di tutta la sua produzione. Del resto fu lui stesso a suggerirlo: si scelse sempre i migliori, anche quando decise di fare un’esperienza psicanalitica e puntò al tedesco Ernst Bernhard, seguace di Jung. E poi c’è quel bellissimo libro dei sogni che Federico vergò, sia disegnando che annotando le manifestazioni notturne del suo immaginario. Queste visioni restano impresse, visioni circensi e grasse, giunoniche e assurde, come il racconto di una defecazione (tra le altre cose esposto in una teca al Complesso del Vittoriano, in Roma, per la mostra dedicata a Salvator Dalì, altro artistissimo imparentato col maestro da alcune famose conversazioni). Quel libro dei sogni non freudiano ma felliniano è stato oggetto persino di un Convegno Internazionale, nel 2007. Ferdinando Camon, scrittore con particolare attenzione alle questioni di psiche, lo ricorda così: “Questo libro dei sogni è un tunnel senza inizio e senza fine. Non sappiamo come si entra e non sappiamo come si esce. Quando il libro comincia, siamo già dentro, e quando il libro finisce, non siamo fuori”. Un po’ come quando si rivedono i bei film, ci rimani dentro. Come capita al mattino, dopo un sogno intenso. Ed allora Fellini - che ne era capace - faceva quello per cui era nato: prendeva appunti per un film, disegnava, visualizzava l’esperienza onirica, così preparava il materiale non per girare, ma per entrare in analisi. Così Camon chiude: “la psicanalisi è come le sabbie mobili, gli scrittori e i registi vorrebbero camminarci sopra, ma tutti finiscono per sprofondarci dentro”. Fellini sprofondava nell’analisi per toccare un punto di visione che la sua arte cinematografica restituiva dunque come sogno collettivo.
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