L’Italia di Bearzot è ormai una categoria temporale associata ad un’età dell’oro - la coppa del mondo dell’82, l’unica che nessun tesoriere, per quanto padano, trasformerebbe in lingotti - che la miseria dell’attuale età del ferro arrugginito, rende ancora più mitica. Mitica ed impressa nell’iconografia della nazione, con un simpatico vitale familiare Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che esulta al goal degli azzurri in Spagna, interpretando un giubilo che se fosse stato misurabile in termini elettorali, sarebbe stato un plebiscito: tutti eravamo felici, non tanto e non solo per un mondiale di calcio, ma per la temperie economica e sociale che stavamo vivendo, con quei boom di benessere materiale e vuotaggine culturale che il decennio stava tirando a secchiate. Sicché Bearzot è un’icona sacra, non della vuotaggine, beninteso, ma dell’allegria di un Paese. Come la sua rosa di figli leggendari: Zoff, Collovati, Scirea, Cabrini, Gentile, Bergomi, Oriali, Conti, Tardelli, Graziani, Rossi, Altobelli, Antognoni. Tutti campioni in blocco, campioni del mondo, campioni del mondo (quante volte lo ha ripetuto Nando Martellini, tre, tante quante i titoli vinti fin lì, con una elegante simmetria che faceva da cornice all’epoca, ricca e dunque elegante). Una vita da mediano nell’Inter, poi il record di presenze sulla panchina azzurra: centoquattro. Particolarmente singolare il fatto che si è spento ad 83 anni, proprio il 21 dicembre, come Vittorio Pozzo, il commissario tecnico che vinse i due Mondiali prima di Enzo, nel 1934 e 1938, scomparso anche lui il 21 dicembre di molti decenni fa. La storia ama ripetersi, palleggiare col pallone delle coincidenze. Una vita da mediano, quella di Bearzot, con evidenti doti difensive. L’anno del suo personale salto di qualità è il 1946, quando qualche avveduto manager d’allora lo nota e lo segnala alla Pro Gorizia che militava in serie B. Ma Enzo è tanto forte che presto passa tra le grandi, come l’Inter. E’ nel Torino il grosso della sua carriera: 164 presenze, dal 1957 al 1964. La nazionale italiana, che sarà la sua consacrazione da c.t., da calciatore lo vede una sola volta, nel 1955. Gli scarpini al chiodo li mette quando prende in mano le giovanili del Torino, poi diventa assistente di Nereo Rocco e Edmondo Fabbri. Guida le maglie azzurre under ventuno dal 1969 e per sei anni, quando passa alla categoria dei più grandi, nel 1975. Il resto è la storia di cui sopra, l’età aurea che Enzo Bearzot, col suo volto scavato e il sorriso negli occhi, ha regalato alla memoria del nostro Paese, sottoforma di coppa del mondo.
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