La prima cosa che si legge su Wikipedia, in apertura della pagina riservata ad uno dei più grandi attori del Novecento italiano, è una frase che gli viene attribuita e che recita: « Mi disturba la morte, è vero. Credo che sia un errore del Padreterno. Io non mi ritengo per niente indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me... che farete da soli? ». Sono parole di Vittorio Gassman. Ecco, che facciamo da soli, ora? Buona parte delle azioni e degli automatismi e dei comportamenti sociali del popolo italiano, sono una risposta a questa sua domanda. Cosa facciamo se non essere ancora come lui ci aveva rappresentati, alla ricerca dell’eterno sorpasso? Quel film - Il Sorpasso di Dino Risi del 1962 - non fu solo un affresco cinematografico dell'Italia del benessere e del miracolo economico di quegli anni. Fu una stigmatizzazione antropologica, una nuova lettura della commedia all’italiana. C’era sì quello che oggi chiameremmo con una caduta di stile, il furbetto del quartierino, l’italiano medio e mediocre che punta tutto sulla furbizia sempre al limite della truffa, sul raggiro, non riuscendo nella retta via. Appunto, la ricerca del sorpasso, anche sfidando con baldanza da pirata, il frontale. C’era però in più la dialettica della velocità, se si passa l’espressione, proprio nella scena clou, quella del dialogo a centotrenta km all’ora. Una corsa pazza all’interno della quale ci si confrontava, mentre s’andava come razzi, e il paesaggio scorreva secondario ed imprendibile. Gassman è stato l’uomo che ha evitato l’incidente, e per quanto ha potuto, l’ha evitato anche a noi che eravamo i suoi spettatori, nonostante il film racconti un epilogo diverso e ben più tragico. Gassman no, la sua perfezione maniacale messa nel suo lavoro, la continua evoluzione e ricerca, sono state l’esempio che dovevamo seguire per non sbandare verso la retrocessione in B che oggi sembra il destino del belpaese. “Mi disturba la morte”, disturba a tutti, e forse disturba più a noi, che magari passiamo al cimitero Verano e vediamo la sua piccola lapide; sembra un libro di pietra, buttato lì, tra le giganti opere degli altri defunti. E va bene , non che la grandezza di un uomo si misuri con la grandezza della pietra sopra che ti mettono in memoria di. Ci mancherebbe. La grandezza si misura con la persistenza nella memoria. E tu dici “Gassman” e tutti sanno chi era, tutti si ricordano quella voce, tutti lo vediamo in parte rivivere nei suoi figli d’arte. Ebbene, se fossimo stati più accorti, se avessimo ricordato non solo la sua voce, ma l’impegno che c’era dentro a quella voce, e l’avessimo seguito quell’impegno, forse oggi saremmo ancora in serie A, con la carrozzeria della Lancia spider ancora intatta e brillante.
(© 9Colonne - citare la fonte)