di Paolo Pagliaro
Da tempo i giornali segnalavano l’insofferenza degli eredi Berlusconi per la tassa sugli extra profitti delle banche, che avrebbe colpito anche i loro interessi di azionisti della banca Mediolanum. E quando poi c’è stata la sostanziale retromarcia del governo, tutti ne hanno parlato come di un gesto di realpolitik per non guastare i rapporti con Forza Italia.
Tanta disinvoltura di fronte a un evidente conflitto di interessi è figlia di un trentennio in cui affari privati e interesse pubblico si sono intrecciati e confusi. Un altro frutto di quella stagione politica (che evidentemente non si è conclusa) sono le leggi che regolano l’imposta di successione e che - come scrive oggi il Corriere - consentono ai figli di Silvio Berlusconi e Leonardo Del Vecchio di non pagare tasse o quasi su eredità e donazioni ricevute.
Nel 2001 l’imposta di successione, che c’è in tutti i paesi civili e che allora portava nelle casse dello Stato circa un miliardo di euro all’ anno, fu abolita proprio da Berlusconi. Ripristinata in forma attenuata per i grandi patrimoni nel 2006 dal Governo Prodi, fu in seguito più volte modificata, ma prevedendo sempre aliquote irrisorie e comunque assai inferiori a quelle presenti nei regimi fiscali degli altri paesi. Sopravvisse a tutti i governi anche la norma secondo cui non pagano imposte gli eredi di un imprenditore che si impegnano proseguirne l’attività per almeno cinque anni. Un beneficio che si è di fatto tradotto in un sussidio ai ricchi, oltretutto spesso impedendo che alla guida delle imprese si insediassero persone capaci.