di Paolo Pagliaro
La manovra economica varata ieri verrà finanziata per due terzi chiedendo i soldi in prestito ai mercati. Inciderà dunque sull’ammontare di un debito pubblico per cui l’Italia paga ogni anno cifre esorbitanti. Nel 2020 gli interessi sul debito ammontavano a 57 miliardi. Tra un anno, in seguito all’aumento dei tassi, costeranno quasi il doppio, raggiungendo i 100 miliardi, una soglia fino a poco tempo fa impensabile. E’ una somma enorme soprattutto se confrontata con quello che lo Stato spende per l’istruzione, 52 miliardi, per le politiche sociali e la famiglia, 60 miliardi o per il lavoro, 20 miliardi. Nessuno, in Europa e in tutti i pesi sviluppati spende quanto l’Italia. La media europea della spesa per interessi è l’ 1,9% del Pil, cioè 715 euro pro capite. Noi superiamo il 4% e in un anno sborsiamo 1400 euro a testa. Quelli spesi per interessi sono denari sottratti a sanità scuola, infrastrutture, pensioni. Denari che vanno a remunerare i detentori dei titoli di stato: poche famiglie, molti grandi investitori istituzionali come fondi comuni e fondi pensione, istituti di credito, banca centrale. Per usare un’immagine novecentesca , un po’ rozza ma efficace, sono flussi di denaro che passano dai poveri ai ricchi.
Ci si consola dicendo che non è importante l’ammontare assoluto del debito, ma il suo valore in rapporto al Pil. Che sarebbe poi la crescita dell’economia, scenario su cui però - con quello che sta accadendo nel mondo- nessuno è disposto a scommettere. Questa settimana le agenzie di rating inizieranno a rendere note le loro valutazioni sulla capacità dell’Italia di rimborsare debiti e interessi. Se il giudizio sarà negativo, potrebbe aprirsi una crisi dagli esiti imprevedibili.
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