La parola mafia è una parola che prospera nel silenzio: meno se ne parla, più c’è. Essa stessa preferisce non avere pubblicità, evita come la peste il protagonismo mediatico e solo se è costretta ricorre al clamore del tritolo. Come vent’anni fa, nelle due più tristi soste della storia d’Italia: a Capaci nel 1992, il 23 maggio Giovanni Falcone, in auto con sua moglie, tornava da Roma verso Palermo, scortato dall’aeroporto di Punta Raisi, fin sulla Palermo-Trapani. Qui tutto il convoglio trova la morte: quintali d’esplosivo hanno divelto l’asfalto e le vite del giudice, della moglie, e degli agenti. Chi abbia premuto il pulsante del radiocomando è noto, meno nota la regia occulta della strage. Passeranno 57 giorni, l’amico di sempre, Paolo Borsellino, li trascorre nell’angoscia e allo stesso tempo nella fredda determinazione di portare avanti il lavoro di Falcone. Ma sembra che i piani alti lo abbiano lasciato solo. Scrivono sinteticamente Attilio Bolzoni e Francesco Viviano: “E' fra Capaci e via Mariano D'Amelio - ne sono convinti i procuratori di Palermo - che inizia la trattativa fra Stato e mafia. Paolo Borsellino ne viene a conoscenza, si mette di traverso e lo uccidono”. Quei 57 giorni dalla morte di Giovanni a quella di Paolo, in una interpretazione intima, sono stati raccontati di recente da un film-tv di Rai fiction, grazie a Luca Zingaretti, che ha interpretato Borsellino. Sapeva d’avere le ore contate. Una domenica come tante, si reca in visita dalla madre, in Via D’Amelio, era il 19 luglio dello stesso anno, il 1992. Lì una 126 è stata infarcita di tritolo, ed esplode al suo arrivo: muore lui e la sua scorta. E questi sono i fatti. Restano le domande, i punti interrogativi, l’amarezza ancora attuale di non sapere chi abbia azionato il cervello di chi ha poi azionato i detonatori. La parola mafia è una parola sottile, a pronunciarla scivola via dai denti come un soffio, mafia. Anche l’etimologia è incerta, se la derivazione fosse araba vorrebbe dire luogo di riunione, se invece l’origine fosse nel dialetto siciliano, spacconeria. Forse sono entrambe vere, mafia come assemblea di spacconi, appunto malavita organizzata attorno ad un luogo. Ricordiamo Falcone e Borsellino insieme, come fossero una persona sola, unita contro la spacconeria, nel suo luogo di riunione, perché Linkiesta in questi giorni racconta la storia della loro foto più famosa, scattata dall’allora giovane fotoreporter del Giornale di Sicilia, Tony Gentile, è quella che li ritrae insieme, sorridenti, mentre si confessano qualcosa che fa pensare ad una confidenza scherzosa: il marchio dell’amicizia. Noi li abbiamo pianti molto, mentre loro magari ridono ancora.
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