di Paolo Pagliaro
L’economia italiana arranca anche perché non riusciamo a spendere i fondi del Pnrr. A fine anno il governo avrà già incassato dall’Europa 102 miliardi, ma ne avrà spesi non più di 28, che diventano 14 se si tolgono i crediti d’imposta per Ecobonus, Sismabonus e Industria 4.0. Questa incapacità di spendere spiega il modesto impatto del Pnrr sul Pil. Dal pensatoio di Assonime – l’associazione delle società quotate guidata da Stefano Firpo – sono uscite una quarantina di cartelle che finalmente spiegano qual è il reale stato di attuazione dei Piano.
La ridotta capacità di spesa sembra essere il problema principale anche se non è l’unico. Incidono molti fattori: le procedure innovative, il rincaro delle materie prime e dell’energia, i tempi di adattamento della PA, i ritardi nell’ aggiudicazione di alcuni bandi di gara, spesso a causa di contenziosi legali, i cambiamenti di governance e di contenuti decisi dal nuovo governo. Che così ha però finalmente reso “suo” il Pnrr, assumendosene quindi la piena responsabilità. D’ora in poi – è il messaggio implicito – sarà difficile prendersela con Conte o con Draghi.
Il dossier di Assonime contiene una dettagliata descrizione degli obiettivi raggiunti , pochi, e di quelli rinviati o eliminati , molti. Si sofferma anche sullo stato d’ avanzamento delle riforme , dallo smaltimento degli arretrati nei tribunali civili alla riduzione dei tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni, impegno inviato di 15 mesi.
Le ultime righe suonano come un appello: è cruciale- scrive Assonime - riportare l’attuazione del Piano al centro dell’agenda politica.