di Paolo Pagliaro
Ieri l’Ocse è tornata a ricordarci che la spesa sociale – a cominciare da quella per la sanità – è sostenibile solo se tutti pagano le tasse. Vasto programma in un Paese dove l’evasione sfiora i 100 miliardi l’anno e l’elusione è prevista dalle regole. Tra esenzioni, regimi speciali e sgravi vari, sono infatti ben pochi i contribuenti che pagano le tasse senza poter beneficiare di uno sconto. Anni fa ci si era proposti di ridurre le agevolazioni - alcune sacrosante, molte altre clientelari - e allo scopo fu creata una commissione. Il risultato è che tra il 2018 e il 2024 il numero delle agevolazioni è cresciuto di un terzo, passando da 466 a 625, e la perdita di gettito complessiva è raddoppiata, da 54 a 105 miliardi. In un libro pubblicato in questi giorni dall’editore Nutrimenti, Roberto Seghetti spiega con didascalica pazienza che “le tasse sono utili” - come recita il titolo – e che da esse dipendono democrazia e qualità della vita. Sono anche convenienti. Se paghi 60 euro in meno di tasse e poi ne devi sborsare 100 per l’assicurazione privata, perché la sanità pubblica non funziona più, non hai guadagnato 60 euro: ne hai persi 40 . Seghetti ricorda che la Costituzione prevede che il sistema tributario sia informato a criteri di progressività, e dunque che chi ha di più debba contribuire di più. Cinquant’anni fa – nella sempre più rimpianta prima repubblica – gli italiani venivano tassati con un sistema progressivo fondato su 32 scaglioni di reddito: i più ricchi pagavano il 72%. In quegli anni il paese cambiò volto: nacquero la scuola dell’obbligo, lo statuto dei lavoratori, la legge su divorzio, gli asili nido e i consultori pubblici, il servizio sanitario nazionale. Oggi è invece di moda la tassa piatta, perfetta per un paese immobile.
(© 9Colonne - citare la fonte)