di Paolo Pagliaro
Nell’Italia dei divari, sono nati nella parte sbagliata un milione e 300 mila minorenni, tra cui centomila ragazze e ragazzi tra i 15 e i 16 anni. Appartengono a famiglie in condizioni di povertà assoluta, che cioè faticano a sostenere le spese per cibo, vestiti e bollette, non possono comprare un paio di scarpe o i libri di testo. Fa parte di questa Italia quel 25% degli adolescenti che ha difficoltà a partecipare alle gite scolastiche per motivi economici. E quel 18% che – pur essendo ancora minorenne - aiuta la famiglia lavorando. Nella fotografia scattata da Save the Children in occasione della Biennale dei diritti dell’infanzia, in corso a Roma, il particolare più mortificante, per la società nel suo complesso oltre che per i diretti interessati, riguarda la caduta delle aspettative.
Più di un ragazzo su 4 di famiglie povere prevede che non finirà la scuola e andrà a lavorare. Ma sa che difficilmente troverà un lavoro che possa piacere, che permetta di mantenere se stessi e la famiglia o che lasci tempo libero per poter seguire passioni e interessi.
La Caritas , che assiste molte famiglie con bimbi tra 0 e 3 anni, documenta come le privazioni economiche possano influire in modo significativo sullo sviluppo delle bambine e dei bambini già dai primi mille giorni di vita. Rinunciare a pannolini, abiti per neonati, latte in povere, visite pediatriche, giocattoli, ha un costo alto in termini di salute e di benessere piscologico. L’Italia resta uno dei Paesi che spende meno per le politiche di sostegno alla famiglia, e le riforme in arrivo promettono di aggravare ulteriormente le disuguaglianze tra le varie aree.