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BERRUTO (PD) UNO YAMAL
IN ITALIA? PIU’ DIFFICILE

BERRUTO (PD) UNO YAMAL <br> IN ITALIA? PIU’ DIFFICILE

Padre marocchino, madre guineiana. Lui nato e cresciuto in Spagna, a pochi chilometri da Barcellona, il club con il quale ha esordito meno di due anni fa, prima di esplodere definitivamente con la Roja agli Europei di Germania. Ma Lamine Yamal, il talento che ha compiuto 17 anni proprio durante l’Europeo, se fosse nato in Italia avrebbe potuto giocare nella Nazionale azzurra? Forse, ma sicuramente non alle stesse condizioni con cui l’ha fatto con la Spagna. Le regole per l’acquisizione della cittadinanza per i minori figli di stranieri sono più o meno le stesse, tra i due Paesi: bisogna aspettare 18 anni e fare richiesta. E’ possibile però acquisire la cittadinanza del paese ospitante anche da minorenne, se uno dei genitori la ottiene, dimostrando di risiedere legalmente nel Paese da almeno 10 anni: è così che Yamal è potuto diventare cittadino spagnolo anzitempo. In Italia però l’art. 12 del Regolamento di esecuzione della legge sulla cittadinanza (D.P.R. n. 572/93)   ha specificato che deve essere necessaria la convivenza stabile ed effettiva del minore con i genitori: se, invece, la convivenza interviene in un momento successivo o è cessata, il figlio minore non consegue la cittadinanza italiana. E Yamal, dall’età di 7 anni, vive nella Masìa, il centro sportivo del Barcellona: a parità di condizioni, dunque, non avrebbe ottenuto la cittadinanza italiana, o quantomeno sarebbe stato costretto a intraprendere un diverso percorso sportivo. Questo è, probabilmente, tra i motivi per cui l’Italia è tremendamente indietro nell’inclusione di giovani atleti di seconda generazione nelle proprie selezioni sportive nazionali, e in particolare nel calcio. 

Secondo Mauro Berruto, deputato del Partito democratico ed ex commissario tecnico della Nazionale di pallavolo, il problema oltre che di leggi è anche di burocrazia, e di cultura. “Nella situazione attuale è possibile richiedere un passaporto al compimento dei 18 anni, ma ovviamente ci sono delle differenze clamorose anche nell'accesso a quel diritto che ovviamente è garantito – spiega  - Perché, parlando di sportivi per esempio, se tu hai un talento e quindi sei osservato speciale da una Federazione, dal Coni, è chiaro che c'è tutto un meccanismo che predispone tutto ciò che serve e magari in poche settimane ottieni il passaporto. Per tutti gli altri invece a 18 anni inizia un iter che può durare anche 2-3-4 anni. Perché non c’è un automatismo”. E’ per questo motivo che qualcuno, parlando del trionfo spagnolo agli Europei, si è spinto a dire che forse neanche l’altro attaccante Nico Williams, 21enne, avrebbe fatto in tempo a diventare italiano. “E poi  ci sono i casi in cui la famiglia non fa la domanda perché si dimentica, perché non lo sa, perché manca un documento, perché nell'iter ci sono delle richieste che magari sono impossibili da esaudire, per esempio un atto di nascita che deve arrivare dal paese da cui sei arrivato che magari è in guerra e non è proprio semplice andare all’anagrafe...”. Un discorso che vale ovviamente sia per i neo 18enni che per i genitori: “si entra in un girone dantesco, e tante volte si finisce per rinunciare”. 

 È per questo che l’attuale presidente del Coni, Giovanni Malagò, aveva proposto una sorta di ‘ius soli sportivo’, un percorso agevolato per gli atleti minori stranieri in modo da rinforzare alcune nazionali azzurri. Un qualcosa che in parte già esiste dal 2016, ricorda Berruto, e che fa sì che “gli atleti senza passaporto italiano, ma con background migratorio possono essere tesserati e possono disputare i campionati italiani, nell'atletica leggera, nella pallavolo, in qualunque disciplina. Ma poi il paradosso è che non possono partecipare a manifestazioni internazionali in quanto non hanno il passaporto italiano. E questa cosa ovviamente essere un'ingiustizia in particolare in quelle discipline dove l'età di massima prestazione è molto giovane”: la ginnastica su tutte. Ma anche in discipline più popolari come il calcio, e di grandi guadagni, “succede anche che molto spesso questi ragazzi che magari a 15-16-17 anni sono talentuosi optino per il passaporto del paese dei genitori perché magari hanno timore ad aspettare, per giocare in maniera più immediata”. 

Il calcio, secondo Berruto, sconta forse anche un gap culturale: “Ci sono sport pieni di atleti di seconda generazione: penso all'atletica leggera, ma anche la pallavolo ovviamente. Nel calcio è difficilissimo, ma il problema è culturale perché il tema dei numeri non regge:  io sono di Torino, nelle società di base torinesi i ragazzi di seconda generazione, o con background migratorio, che giocano nei settori giovanili forse sono più di tutti quelli degli altri sport a messi insieme. Dobbiamo porci il problema di capire perché pochissimi arrivano e tempo il calcio sia un mondo un po’ reazionario e conservatore, in un mondo dove già sono pochissimi i giovani in assoluto che vengono lanciati nel campionato di serie A”. Last but not least, la questione dell’accesso al calcio, e allo sport in generale, per i bambini delle famiglie più povere, rilanciato dal presidente dell’Inter Beppe Marotta dopo il flop azzurro agli Europei. E che indirettamente tocca anche il caso Yamal, che proviene da una famiglia indigente e anche per questo fu ospitato alla Masìa. “La frase di Marotta sulle scuole calcio è giusta quando dice c'è un tema di accessibilità. E qualche anno fa c'erano anche delle alternative democratiche: penso agli oratori da cui sono venuti fuori centinaia di giocatori. Certamente la minore disponibilità economica allontana”. Aspetto culturale, dunque: “Non può essere un caso che la nazionale femminile di pallavolo sia composta forse da un terzo di atlete di seconda generazione, e quelle di atletica forse per l’80 per cento. E quello è uno scrigno molto bello e molto ampio di storie tutte diverse uno dall'altra: c'è chi è italiano da subito, c'è chi è nato in Italia da genitori stranieri, c'è chi è arrivato letteralmente col barcone, c'è chi è stato adottato, ci sono figli di coppie miste...  Ma se noi facciamo il benchmark della nazione italiana con Francia, Spagna, Olanda, Belgio, anche Svizzera ma anche Austria, è chiaro che è imbarazzante, no?”.

(Sis)

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