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Dopo il teatrino
l’ora della responsabilità

Dopo il teatrino <br> l’ora della responsabilità

di Paolo Pombeni

Non ci voleva molto per capire che l’affaire San Giuliano-Boccia era buono per fare teatrino politico, ma avrebbe inciso poco sulla politica vera. Le ragioni sono intuibili: 1) la gente pensa che quella roba lì faccia più o meno parte della routine del potere e che possa affliggere tutti i partiti; 2) il ministero della Cultura non è ritenuto da gran parte dell’opinione pubblica un ganglio vitale dello Stato (non è giusto, ma è così); 3) la faccenda ha tutti i caratteri di una telenovela e come tale è percepita. Di conseguenza ha ragione Meloni a ritenere che il governo non rischia quasi nulla, a parte, e non sarebbe poco, l’ennesima reazione qualunquistica per cui tutti vengono ritenuti eguali (alla faccia delle sue pretese di inaugurare un nuovo stile).

I problemi che insidiano la tenuta del quadro politico sono altri e riguardano sia la maggioranza che l’opposizione. Il principale è come si possa far fronte ad una situazione economica che, piuttosto accettabile in superfice, in profondità pone il tema del declino dell’Europa. L’ha messo in luce con la sua autorevolezza Mario Draghi presentando il rapporto che ha steso per la UE: o si riprende la via degli investimenti creativi e dello sviluppo tecnologico, o l’Europa finisce ai margini del sistema economico internazionale, schiacciata non solo da USA e Cina, ma anche da una serie di paesi emergenti a partire dall’India.

L’Italia è una delle rotelle dell’ingranaggio europeo e deve molto preoccuparsi per questo stato di cose, non fosse altro che per la ragione di essere un paese trasformatore e industriale che sarebbe destinato ad essere semplicemente la dependance di assemblaggio dei prodotti dei giganti (che si terranno i guadagni), se non riesce a diventare essa stessa parte della riscossa europea. Se si riflette su questo dato si può capire perché la nostra presenza nella Commissione UE che adesso inizierà il suo lavoro è davvero un interesse nazionale.

Stiamo ovviamente parlando di una duplice presenza. Ci sarà quella del commissario designato dall’Italia, Raffaele Fitto, per cui si auspica una posizione di rilievo. Già qui si presenterà qualche problema, perché ci sono fibrillazioni nell’opposizione, parte della quale non vorrebbe rinunciare all’argomento propagandistico di una Meloni debole a Bruxelles e perciò pensa di votare contro la nomina del candidato del governo. Sarebbe una scelta sciocca, ma pare che la segretaria Schlein l’abbia capito, anche se, non si sa bene perché, ingarbuglia gli argomenti per non urtare le paranoie di Conte e di AVS.

La seconda presenza è quella della presidente Meloni nel Consiglio Europeo. Anche in questo caso siamo in un terreno minato: la concorrenza fra i partner è piuttosto alta, non siamo molto amati, le turbolenze in Italia sia nella maggioranza che nell’opposizione indeboliscono la nostra azione nei confronti al vertice. Di nuovo sarebbe il caso di capire che fare squadra è necessario, ma per questo ci vorrebbe buona volontà da entrambe le parti, il che non accade: soprattutto il governo, ma in particolare Lega e FdI, sono molto condizionati da una logica di “tribù” che porta a non coinvolgere il fronte più ampio possibile delle forze dinamiche che pure esistono anche fuori dei recinti dei “fedeli” alle diverse fazioni in lotta.

Sarebbe necessario che si desse qualche segnale di comprensione per il delicato momento verso cui stiamo andando. Una gestione oculata della legge di bilancio potrà essere un buon banco di prova: lì ci potrebbe essere spazio e occasione per un confronto fruttuoso fra le componenti responsabili di maggioranza e di opposizione marginalizzando i non pochi sventolatori di bandierine. C’è da intervenire proprio sui meccanismi di incentivazione alla creatività economica nei settori avanzati (un obiettivo sul quale c’è sensibilità anche da parte dei sindacati), lasciando perdere la politica dei bonus (Meloni lo ripete in continuazione, ma poi, come si sa, la carne politica è debole…). Altrettanto è necessario mantenere gli interventi a sostegno dei redditi bassi e medi, anche qui accettando che questo vada a scapito della ancora troppo grande area dell’elusione fiscale (sull’evasione il discorso dovrebbe essere quello penale).

Un segnale importante sarebbe senz’altro una oculata gestione della partita delle nomine, specie di quelle al vertice della RAI. Giusto o sbagliato che sia, quell’azienda è percepita come lo specchio della spregiudicata occupazione del potere ed è difficile negare che sia stato in buona parte, non ovviamente in tutto, così sotto i governi di vario colore. Si lasci perdere il discorso astratto sul merito e le competenze, perché sappiamo bene che ogni partito ritiene a priori adeguati i suoi candidati, e ci si concentri invece su figure che abbiano una immagine conclamata di affidabilità e di schiena dritta: solo così la pubblica opinione riconoscerà un cambio di passo.

Di nuovo non è una operazione che si può chiedere solo al governo e alla sua maggioranza (non proprio affidabilissima su questo terreno), ma che si deve pretendere anche dall’opposizione. Baratti e traffici vari se ne sono sempre visti, compresi quelli del partito che voleva aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno.

È sperabile che qualcosa si muova rompendo le stereotipate liturgie dei teatrini della politica? Per quanto si sia tentati di dubitarne, il crescere della consapevolezza sul momento complicato che ci troviamo ad affrontare potrebbe forse portare sulla scena qualche personaggio maggiormente consapevole delle sfide che ci attendono e di conseguenza della necessità di trovare costruttivi terreni di confronto.

(da [http://www.mentepolitica,it]mentepolitica,it )

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