Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

SQUILLACI: IN ANIMAZIONE
TORNARE A SPERIMENTARE

SQUILLACI: IN ANIMAZIONE <BR> TORNARE A SPERIMENTARE

Roma, 18 set - Carlo Rambaldi, nel 1996, volle fare di Terni un vivaio per i talenti europei degli effetti speciali. Settantenne, chiuso un trentennio di successi ad Hollywood (e tre Oscar), l’effettista più famoso del mondo sperò che l’Italia avrebbe raccolto la sua eredità: la sua visionaria meccatronica, l’ingegneria artistica che creava creature fantastiche, golem dal cuore elettronico. Nacque così una accademia che, nelle intenzioni del maestro, avrebbe dovuto traghettare la tradizione artigianale della modellazione, della scultura, del disegno, del trucco speciali nel nuovo mondo del digitale che George Lucas aveva aperto con Guerre Stellari. L’anziano demiurgo che aveva materializzato l’orrida potenza di King Kong, le terrificanti fauci di Alien e la dolcezza di E.T. non riuscì nel suo intento ma da quella sua scuola, che durò solo 4 anni, uscirono 32 “effettisti” per i quali il disegno manuale resta il primo atto creativo, il computer l’esecutore finale e per i quali l’oggetto va reso materico prima di affidarlo al mondo dei pixel. Uno di essi è Giuseppe Squillaci, tra le più versatili figure nell’audiovisivo italiano: regista di animazione (da oggi su Netflix con “Il segreto di Liberato”), autore VFX, sceneggiatore, produttore, direttore creativo (Ilbe Animation). “Mi ero innamorato di E.T. da quando avevo circa 10 anni - ricorda nell’intervista per il format Ciak, Azione dell’agenzia di stampa 9colonne -: vidi sulla copertina di una rivista, quando Rambaldi vinse l’Oscar, il robot interno al suo extraterrestre e mi dissi ‘io voglio fare questa cosa qui’ e mi misi a costruire pupazzetti, robottini, con cui giocare… E quando Rambaldi tornò dagli Stati Uniti per fare quel corso di effetti speciali lasciai l’università per andare a studiare con lui e vi rimasi per tre anni. E’ stato veramente un maestro eccezionale…”. E’ l’impronta “umanistica” di Rambaldi resta nell’approccio assolutamente eclettico di Squillaci nel campo dell’animazione: oltre ad essere uno maggiori autori di VFX in Italia (con 5 candidature ai David di Donatello) è anche regista di animazione, sceneggiatore, produttore, responsabile creativo e di produzione di Ilbe Animation. E quindi la sua analisi sullo stato dell’industria dell’animazione in Italia – settore che conta 80 società di produzione, per 6.700 addetti ed un fatturato di 180 milioni di euro – non può che essere completa.  “Negli ultimi 5 anni c'è stata una grande crescita del settore, cinematografico come televisivo, sia per la pandemia con un'esplosione di richieste sulle piattaforme sia per le leggi attivate che favoriscono le produzioni internazionali (cosa accaduta anche per gli effetti visivi grazie a tanti film internazionali che girano in Italia e collaborazioni con paesi come Belgio, Francia, Spagna…). Purtroppo, però, l'Italia produce animazione tendenzialmente per ragazzi e solo ed esclusivamente attraverso la Rai che è anche l'unico broadcast che trasmette cartoni animati ma che appunto ha una linea editoriale molto precisa, immutabile, che non dà spazio a prodotti rivolti ad un pubblico adulto e sperimentali. E questo, unita alla decennale alternanza Rai-Mediaset, non ha permesso una crescita del nostro settore a livello europeo, limitando la possibilità di esprimersi e di sperimentare come anche la nascita di produzioni, anche da battaglia, nelle quali le nuove leve possano crescere professionalmente. Inoltre il rapporto con le grandi piattaforme come Netflix ed Amazon è molto difficile da costruire perché mi sembra di capire che agiscono in un paese in base a quello che possono guadagnarvi su tutti i fronti. Zerocalcare, ad esempio, oltre ad essere un prodotto bellissimo, era per la piattaforma una scommessa vinta perché veniva da una esperienza non solo del fumetto ma addirittura del libro più venduto in Italia. Inoltre esiste il problema dell’imbuto distributivo. I sempre meno film che riescono ad approdare in sala, vengono visti molto poco e peraltro non sempre si tratta di prodotti all'altezza. E sul mercato arrivano peraltro offerte enormi, importantissime, con 5 ma anche fino ad 8 film di animazione al mese. Se una volta il film Disney usciva ogni quattro, un capolavoro che tutti aspettavano, ora ce ne sono 3, 4 al mese molto simili, tecnicamente sempre eccezionali e con budget giganteschi. Il semplice mercato italiano non è sufficiente a coprire l'investimento per film simili considerando che una produzione media americana arriva a 120 milioni di dollari ed il film italiano più visto in assoluto arriva al massimo a 40 milioni di incasso”.  

 

“Per questo dico che la strada giusta per la nostra industria è quella di continuare ad investire nelle coproduzioni europee e puntare a prodotti che siano esportabili, che piacciano anche nel resto del mondo, che lavori sugli archetipi. Un limite, quest’ultimo, che è anche degli autori, perché spesso prevale la scelta di copiare o di ricalcare. C’è un generale appiattimento, si fa tutti in sostanza lo stesso prodotto e spesso faccio fatica, anche se ho l’occhio tecnico, a distinguerli, sempre tutti usciti dalla stessa mano: i personaggi si assomigliano, hanno lo stesso taglio degli occhi, la stessa morbidezza dei colori a causa delle stesse tecniche di rendering, cambia giusto l'animale di turno… Tante volte gli appuntamenti ho sentito broadcast internazionali dire: ‘ma perché dovrei venire a fare un film finto americano in Italia se lo faccio bene da solo?!’ Eppure il talento non ci manca. Abbiamo una grandissima tradizione nazionale. Negli anni ‘60 e ’70 nelle pubblicità di ‘Carosello’ si vedevano veri e propri cortometraggi d'autore, abbiamo avuto gente fortissima che seppure lavorava in modo autoriale, in piccoli studi, lo faceva allo stesso livello dei grandi, come i fratelli Gavioli, Guido Manuli e Bruno Bozzetto il cui ‘Allegro non troppo’ stava al passo dei film della Disney. Lo dimostrano le società italiane che lavorano come service per Disney, Dreamworks, Illumination. Gli stessi ragazzi che hanno lavorato con me a ‘Il segreto di Liberato’, ad esempio, lavorano in server per le grandi case americane o addirittura con quelle giapponesi perché comunque, anche lì, c'è grandissima richiesta di talenti…”.

In tutto un gruppo di 75 persone, da quello base in Ilbe, ha lavorato a ritmi serrati alla parte animata del film dedicato al misterioso cantante napoletano (“perché all’inizio siamo partiti in gran segreto sul progetto, come in ogni progetto di Liberato, eravamo solo in 5…”), disegnata da Lorenzo Ceccotti, in arte LRMZ, che ha diretto questo vero e proprio gioiello interno alla pellicola, insieme allo stesso Squillaci, in un lavoro di cesello e maestria. “Il nostro nemico era il tempo – racconta – e per questo c’è stato un continuo cambio di equilibri a seconda di quello che dovevamo raccontare. Sulla base fotografica dei luoghi di Napoli data da Francesco Lettieri (regista del film insieme a Giorgio Testi), Lorenzo ci dava gli storyboard e, guidati dalla registrazione audio degli attori, mettevamo poi i disegni sulla timeline per capire se erano sufficienti a dare la copertura narrativa. Se necessario aggiungevamo agli altri disegni, fatti anche direttamente da me (degli sgorbi per cui chiedevo scusa a Lorenzo!) e questo punto si trasformava il video board in vero e proprio montaggio. Altre volte abbiamo chiesto a Lorenzo di darci dei disegni pressocché definitivi, disegnati non al computer, ed abbiamo usato la tecnica del full limited che utilizza un frame rate più basso, seguendo la strada dell'animazione televisiva giapponese: ossia invece dei classici 24 fotogrammi al secondo ne facevamo 17, 12 anche 6 cosicché, ad esempio, su un bel primo piano di un personaggio, ne sentiamo i pensieri o vediamo muoversi solo la bocca o le luci degli occhi”.

 

Ne “Il segreto di Liberato”, uscito in sala nella fatidica data del 9 maggio utilizzata dall’artista per sorprendere i suoi fan con progetti inediti e da domani su Netflix, Squillaci ha dovuto usare al massimo la sua lunga esperienza come regista di animazione: “Un lavoro estremamente complesso perché si parte da un foglio bianco. Si devono dare all'animatore indicazioni estremamente precise sul carattere, il gesto, le situazioni in cui si muovono i personaggi. L’animazione ha dei costi molti alti, anche di tempo, e non si può cambiare idea facilmente. Eppure il regista di animazione molto spesso non viene neanche citato nella promozione di un film: eccetto Miyazaki, che ormai tutti conoscono, per il resto c’è un buio totale, anche da parte della critica. Si parla piuttosto della casa madre, degli attori famosi che ai personaggi danno la voce ma anche – e questo è poco noto – una traccia del loro carattere, molto importante per la regia di animazione. Infatti, mentre sul set il regista può interagire direttamente con gli attori e modificare il girato in corso d’opera, nell'animazione il processo è completamente al contrario”. Una forte preparazione che Squillaci ha maturato in un lavoro ultraventennale che ha abbracciato l’intero campo delle tecniche di animazione e degli effetti visivi a riprova di un desiderio di sperimentare mosso dalla costante leva della curiosità intellettuale: “Innanzitutto amo le storie e l’animazione, che è una tecnica e non un genere contrariamente a quello che si dice, si sceglie proprio in base al racconto che si vuole esprimere. Ad esempio in ‘East End’ – di cui sono autore e regista con Luca Scanferla (come Skanf & Puccio) -, un prodotto graffiante, satirico, con spunti sulla realtà, molto ‘instant’, dovendo raccontare l’attualità ed in pochissimo tempo, segue lo stile tipo la serie americana South Park: i personaggi si muovono poco, i fondali sono facilissimi da disegnare, anche in una giornata. E - in base ad un ‘patto’ tra disegnatori ed animatori per cui ognuno aggiunge un personaggio - siamo arrivati a crearne fino a 250, divertendoci anche… All’opposto c’è un film come ‘Il segreto di Liberato’ in cui la cura estetica della singola inquadratura è altissima ed anche un singolo segno richiede estrema attenzione. In mezzo a questi due estremi, basati sull’animazione 2D, abbiamo tutta la produzione di Ilbe Animation, che seguo da quasi 5 anni, animazione in CGI e 3D nella scia di Pixar, Disney, Illumination e Dreamworks, che tende al realismo, in cui l'aspetto fotografico assume un alto valore. In particolare abbiamo creato l’universo artico della serie dei Puffins, con protagonista la pulcinella di mare Johnny Puff, cui dà la voce Johnny Depp, spin-off del film “Arctic Dogs” del 2019 che, a causa della pandemia, è uscito in Italia solo sulla piattaforma ma ottenendo un grandissimo successo. Ha come target i bambini dai 7 ai 10 anni e, grazie anche ad un’esperta montessoriana ed un consulente internazionale con cui verifichiamo l’appropriatezza educativa delle sceneggiature, affrontiamo il delicato tema dell'ecologia e dell’educazione civica”.

 

Altro fronte per Squillaci è appunto quello degli effetti visivi. Tra i suoi ultimi contributi in tal senso, che gli sono valse due delle cinque candidature ai David di Donatello, il raffinato docufilm “Michelangelo Infinito” del 2018 e “5 è il numero perfetto” del 2019, debutto cinematografico del fumettista Igort (Igor Tuveri, primo occidentale a disegnare un manga in Giappone) mutuando la sua graphic novel sulla vendetta di un vecchio killer della camorra in un action movie dal surreale stile di Hong Kong.

“Non è affatto leggera l'animazione quando vuole – sottolinea Squillaci -. Può essere pesantissima, profonda, tagliente e anche disturbante. Utilizzare la tecnica del disegno per raccontare storie per adulti crea un contrasto fortissimo. Vedere un personaggio disegnato che sanguina o che perde un arto, ha una potenza delle volte molto più forte di quella data da un effetto speciale perché va a toccare corde emozionali profonde di ognuno di noi, perché tutti abbiamo sicuramente disegnato, anche se solo da bambini. Ed i giapponesi sono maestri in questo perché, nelle loro storie animate, i personaggi hanno sempre una connessione profonda con il loro subconscio, agiscono in base ad un bisogno profondo di riscatto, hanno un demone interiore da superare. Lungo tutto l’arco narrativo la storia di questo conflitto è carnale, viscerale, mai risolta fino alla fine, a differenza dei film occidentali in cui prevale l’intrattenimento nel percorso dell’eroe. E grazie anche alle immagini poetiche, si esprimono concetti molto sottili, difficili da rappresentare, e si crea una sintesi che permette allo spettatore di entrare in rapporto diretto con l'autore. E non è un caso che in Giappone ci sono dietro ogni serie o film d’animazione centinaia di manga disegnati da migliaia di disegnatori, un movimento talmente ampio e connesso alla società che c'è anche un pubblico che lo sostiene. Una connessione fondamentale, il rapporto tra autori e spettatori, che manca in Italia, dove si arriva al paradosso per cui faccio un film perché c’è il finanziamento pubblico, perché qualcuno se lo compra e rivende, perché devo occupare spazio su una piattaforma che deve riempire 56 pagine di tasti. E allora così è chiaro che il prodotto non può che soffrire. Poi c’è anche la grande questione di voler posizionare le proprietà intellettuali in un mondo che ne è ormai strapieno. Se le Winx ed i Gormiti hanno accostato all'animazione il licensing, i giocattoli, l’uovo di pasqua, lo zaino della scuola, arrivando ad essere distribuiti in centinaia di paesi ora le grandi industrie non vanno più a comprare i diritti di un certo personaggio per metterlo sul loro prodotto ma accade l'esatto contrario. Si va ad offrire un personaggio all'industriale perché ci si possa affermare ma si tratta di prodotti che nascono. Quindi piantare il seme di una nuova proprietà intellettuale in un pubblico che è abituato ad affrontare una nuova proprietà intellettuale a settimana – che sia un setup di personaggi, una storia come La casa di carta dalla quale fare più serie e pure lo spin off -, arrivare e vincere e superare quella barriera, è la cosa più difficile del mondo”. 

E, a riprova del suo eclettismo, Squillaci coltiva progetti “con la voglia di raccontare e sperimentare”, che vanno dall’umorismo alla visionarietà, tra la fantascienza (“in uno stile italiano…”), lo stop motion e lo sviluppo, sia come autore che come regista, di East End in una serie tv, nella quale le divertenti e surreali disavventure dei gemellini geek si allargano allo sguardo, vivace e innocente, di una generazione di bambini alle prese con il degrado e lo sfruttamento di una periferia che è quella di Roma ma potrebbe essere quella di qualsiasi città europea. Tornerà Nanni Moretti tornerà in sella alla sua Vespa come nel film? Probabilmente sì visto il grande amore che Squillaci nutre per il cineasta tanto da citare il suo Palombella rossa nella triade dei tre film preferiti (“anzi quattro, perché non posso non citare E.T.!...”) con cui chiosa la domanda finale del format “Ciak, Azione”. Insieme a “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone (“un film che ho visto e rivisto, studiato in tutte le forme perché è meraviglioso dal punto di vista tecnico e artistico ed allo stesso tempo, sotto una profondità inaspettata, nasconde l'idea di un film commerciale come è il western”) ed Akira, capolavoro giapponese del 1988 di e per la regia di Katsuhiro Otomo: “Un film che ha messo in dubbio tutto quello che io volevo fare dal punto di vista tecnico ed artistico perché c'era questo modo di animare talmente fuori dai canoni di quello che avevo sempre visto prima da spingere a dirmi che l'animazione sarebbe stata la mia vita”. (19 set - red)

(© 9Colonne - citare la fonte)