Questa volta gli Stati Uniti sembrano aver intrapreso la strada dell’ultimatum nei confronti del loro strettissimo alleato, Israele. La Casa Bianca ha infatti avvertito il governo di Tel Aviv che ha un mese di tempo per “apportare miglioramenti significativi” alla situazione umanitaria a Gaza, pena una possibile diminuzione (se non addirittura uno stop temporaneo) alla fornitura continua di armi americane. A mettere in chiaro l’altolà di Washington alla politica da “tabula rasa” del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che in poco più di un anno ha provocato nella Striscia oltre quarantamila morti, in stragrande maggioranza non appartenenti alla milizia di Hamas, bensì civili innocenti, è stato l’autorevole Times of Israel entrato in possesso di una lettera inviata domenica al ministro della Difesa Yoav Gallant e al ministro degli Affari strategici Ron Dermer, e firmata dal segretario di Stato americano Antony Blinken e da quello alla Difesa Lloyd Austin nella quale tra l’altro si sottolinea che gli aiuti umanitari in arrivo nella Striscia sono crollati negli ultimi mesi.
I massimi funzionari statunitensi hanno affermato che tali sviluppi mettono in discussione l'impegno di Israele a non limitare l'ingresso di aiuti a Gaza e che il Paese sta utilizzando armi statunitensi in linea con il diritto internazionale. Da parte sua, l’Onu ha avvertito che Israele starebbe letteralmente sigillando la parte settentrionale di Gaza e potrebbe effettuare un “trasferimento forzato su larga scala” di civili, che “equivarrebbe a un crimine di guerra”. In pratica, secondo diversi analisti, l'operazione di Israele nel nord di Gaza assomiglierebbe in modo impressionante alla proposta di “arrendersi o morire di fame” avanzata il mese scorso dal generale israeliano in pensione Giora Eiland. “All’ombra dell’escalation delle ostilità in tutto il Medio Oriente, l’esercito israeliano sembra isolare completamente la Striscia di Gaza settentrionale dal resto della Striscia di Gaza e condurre le ostilità con assoluto disprezzo per la vita e la sicurezza dei civili palestinesi” ha denunciato L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.
Gli Stati Uniti hanno inoltre espresso “preoccupazione” anche in merito alla campagna di bombardamenti condotti su Beirut delle ultime settimane, afferma il Dipartimento di Stato, aggiungendo che gli attacchi sono diminuiti negli ultimi giorni e che Washington “continuerà a monitorare la situazione con molta attenzione”. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha affermato che, nonostante vi siano attacchi che gli Stati Uniti riterrebbero giustificati, Washington ha chiarito al governo di Israele di avere preoccupazioni in merito alla natura della campagna di bombardamenti delle ultime settimane, in gran parte a causa del bilancio delle vittime civili. “Abbiamo detto molto direttamente a Israele che ci opponiamo ai loro attacchi quasi quotidiani nelle aree densamente popolate di Beirut”, ha affermato il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby.
Intanto, secondo quanto riportato dalla televisione israeliana, lo Stato ebraico avrebbe deciso quali obiettivi potrebbe potenzialmente colpire in Iran. Tali “fughe” di notizie inducono a ritenere che si stia avvicinando la risposta di Tel Aviv al massiccio attacco missilistico della Repubblica islamica del mese scorso. Secondo quanto riportato dal notiziario di Channel 12, l'esercito avrebbe presentato un elenco di obiettivi a Netanyahu e a Gallant. Nel frattempo sarebbe in atto un “coordinamento sensibile” con altri paesi della regione. “Gli obiettivi sono chiari. Ora è solo questione di tempo”, ha inoltre dichiarato una fonte israeliana all'emittente pubblica Kan. (16 OTT - DEG)
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