Le tante artiste che dal XVI al XIX secolo hanno fatto di Roma il loro luogo di studio e di lavoro con una produzione ricca, variegata e di assoluto rilievo artistico, spesso relegate a una sorta di “silenzio” storiografico, sono al centro della mostra “Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XVIII secolo”, ospitata al Museo di Roma a Palazzo Braschi dallo scorso 25 ottobre fino al 23 marzo 2025. L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è curata da Ilaria Miarelli Mariani (Direttrice della Direzione Musei Civici Sovrintendenza Capitolina) e Raffaella Morselli (Professoressa ordinaria della Sapienza Università di Roma), con la collaborazione di Ilaria Arcangeli (Ph.D Università di Chieti Gabriele D'Annunzio). L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura, mentre il catalogo di Officina Libraria. Il progetto espositivo propone circa 130 opere, eseguite da cinquantasei diverse artiste, attive in città stabilmente o per periodi più o meno lunghi, partendo inizialmente dalle collezioni dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina (di cui si espongono circa cinquanta opere provenienti dalla Galleria d’Arte Moderna, dal Museo Napoleonico, dalla Pinacoteca dei Musei Capitolini e, soprattutto, dallo stesso Museo di Roma), per poi collegarsi a quelle di molti altri musei e collezioni nazionali e internazionali, tra cui Accademia di San Luca (Roma), Accademia di Brera (Milano), Gallerie degli Uffizi (Firenze), Pilotta di Parma, Musei Reali di Torino, National Portrait Gallery (Londra) e il Museo Thorvaldsen (Copenaghen). Di queste artiste si vogliono ricostruire vicende professionali e biografiche, spesso ignote a causa della mancanza di documentazione o perché le loro opere erano state attribuite ai lavori di maestri e familiari uomini. Maria Felice Tibaldi Subleyras, Angelika Kaufmann, Laura Piranesi, Marianna Candidi Dionigi, Louise Seidler ed Emma Gaggiotti, le cui opere erano per la maggior parte conservate nei depositi, e altre artiste attive in città, dalle notissime Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi e Giovanna Garzoni, a quelle meno conosciute come Giustiniana Guidotti, Ida Botti o Amalia De Angelis e molte altre, il cui catalogo si sta ricostruendo in questi ultimi decenni di ricerca. Il percorso, cronologico e tematico, descrive il progressivo inserimento di queste pittrici nel mercato internazionale, e il faticoso conseguimento del pieno accesso alla formazione e alle più importanti istituzioni della città, quali l’Accademia di San Luca e l’Accademia dei Virtuosi al Pantheon. In questo processo di affermazione, Roma si conferma quale luogo primario di apprendistato. La città non è unicamente intesa come luogo di pratica, formazione e mercato, ma diventa anche personificazione delle tante artiste che, per nascita o scelta, vi hanno lavorato, contribuendo al consolidarsi della sua fama di luogo cruciale per lo sviluppo delle carriere creative attraverso l’età moderna. Il titolo della mostra rimanda alla storiografia sei-settecentesca (a partire dalla Felsina pittrice di Malvasia dedicata a Bologna nel 1678), in un momento in cui le varie scuole pittoriche d’Italia cercano di rivendicare la loro autonomia rispetto all’egemonia fiorentina. Allo stesso modo le artiste, da sempre trascurate dagli studi, rivendicano in mostra la loro presenza nella Roma Capitale delle Arti tra XVI e XIX secolo. Spetta all’enigmatica artista ritratta da Pietro Paolini nei primi decenni del XVII secolo accogliere il visitatore all’ingresso del percorso espositivo. Dall’identità sinora ignota, la giovane pittrice di nature morte guarda intensamente verso lo spettatore mostrando con orgoglio gli strumenti del mestiere. La prima sala è dedicata alla bolognese Lavinia Fontana, di cui si alternano opere inedite o mai esposte prima, tra cui il primo autoritratto su rame. E, a seguire, occhi puntati su Artemisia Gentileschi, ripercorrendo con tre opere le tappe della sua brillante carriera: della seconda fase romana il dipinto dipinto Cleopatra, esemplato sulla statuaria classica, ma drammatico, sensuale, maturo nella resa della nudità; del decennio successivo L’Aurora, opera dall’iconografia inedita; infine, del periodo napoletano Giuditta e la serva con la testa di Oloferne, riproposizione con toni più tenebrosi di un dipinto del padre Orazio. Importante è la presenza di Giustiniana Guidotti, con l’unica opera sinora nota, che si espone qui per la prima volta. Guidotti vi lascia la firma, strumento di cui le artiste disponevano per rendersi visibili al pubblico. Sostando ancora nel Seicento, una sala è interamente dedicata alla natura morta in cui eccellono Laura Bernasconi e Anna Stanchi. Prestito eccezionale dall’Accademia di San Luca un prezioso album con minuziose miniature di piante, frutti, fiori e animali dell’ascolana Giovanna Garzoni. Si chiude la sezione dedicata ai secoli XVI e XVII con altre due sale, una riservata a un altro genere molto praticato dalle pittrici, il ritratto, tra cui di particolare interesse è l’unica opera oggi nota di Claudia Del Bufalo che raffigura la sorella Faustina nel suo abito nunziale. Segue un focus sulla grafica, la miniatura e un piccolo affondo sulla famosa architettrice Plautilla Bricci, con alcuni prospetti ottocenteschi del suo progetto più rappresentativo, la Villa del Vascello. Attraverso cinque dipinti viene illustrato il percorso artistico di Angelika Kauffmann, pittrice internazionale che si stabilisce a Roma, dove la sua casa-atelier diventa un luogo di incontro per tanti intellettuali. Ampio spazio, poi, all’incisora Laura Piranesi e altre pittrici che, con il loro operato, consolidano la presenza nelle accademie e il successo nel mercato dell'arte, tra cui Élisabeth Vigée, Caterina Cherubini e Maria Felice Tibaldi. Il racconto attraverso il XIX secolo si snoda con i tanti volti di artiste, autoritratte o raffigurate da altri, ma anche cantanti, attrici, salonnière riprese in iconiche immagini che restituiscono la forza e la determinazione di tutte le donne che hanno contribuito ai tanti cambiamenti della società. Di Emma Gaggiotti si espone per la prima volta il Ritratto di famiglia, oltre alla Venere degli Uffizi e la Sacra Famiglia dei Vaticani, entrambe opere conservate nei depositi e appena restaurate. Mentre l’Autoritratto degli Uffizi ha trovato posto solo recentemente nelle sale degli autoritratti del museo (2023). Il percorso di visita si conclude con le ultime tre sale, articolate per temi: soggetti religiosi e di storia, ritratto, e infine paesaggio e natura morta. Nella Roma del XIX secolo le artiste godono di maggiori libertà che in passato: rispetto ai secoli precedenti, le donne che si dedicano all’arte crescono di numero e in molti casi si tratta di figure ancora del tutto da scoprire. Come, ad esempio, Erminia De Sanctis e Virginia Barlocci, di cui si conservano vari lavori nelle collezioni capitoline, ma che riemergono anche dal mercato antiquario e costituiscono un’assoluta novità espositiva. Chiude infine la mostra una mappa, sia esposta che stampata in un agile depliant, per continuare la visita in città, con le indicazioni di tutte le opere di artiste esposte in luoghi pubblici e accessibili. A corredo della mostra anche un ciclo di incontri aperti al pubblico dove verranno toccati altri ambiti disciplinari in cui la presenza delle donne è stata rilevante e ha lasciato il segno nel tempo. Saranno presenti ospiti internazionali, studiosi rinomati nel campo dei gender studies e non solo. Con la mostra “Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XVIII secolo” si rinnova l’impegno della Sovrintendenza Capitolina nel rendere accessibili le esposizioni temporanee. La mostra è infatti progettata per essere fruibile dal più ampio pubblico possibile: è prevista infatti la possibilità di ascolto di approfondimenti audio e di fruizione tattile di alcune opere in originale e in riproduzione. Sono inoltre in programma appuntamenti guidati accessibili a persone con disabilità visiva e uditiva. (gci)
TRA ARTE E SCULTURA CON “PITTOSCULTURA” DI LUANA PAHOR
Tra arte e scultura: apre il 4 novembre la mostra personale "Pittoscultura" di Luana Pahor, presso Eppinger Caffè a Trieste, che prosegue l’intensa programmazione culturale con l’inaugurazione dell'esposizione dell’artista triestina, visitabile fino al 30 novembre. La mostra sarà allestita al primo piano del rinomato locale in via Dante 2/B a Trieste. Curata dalla direttrice de Le Vie delle Foto, Linda Simeone, questa esposizione invita il pubblico a confrontarsi con la tecnica dedicata alla composizione artistica composta. "Pittoscultura", infatti, è una forma d'arte che fonde insieme pittura e scultura, creando opere tridimensionali che giocano con la percezione visiva e tattile. A differenza della pittura tradizionale, la pittoscultura integra la materia e il colore in maniera più dinamica, spesso utilizzando materiali diversi, come legno, metallo o gesso, per dare profondità e corpo all'opera. Questa tecnica consente all'artista di esplorare nuove modalità espressive, trasformando la superficie piatta della tela in una struttura vivente, carica di significato e movimento. Luana Pahor, nata negli Anni '60, ha sempre coltivato una profonda passione per la pittura, fin dai tempi della scuola. Questo amore per l'arte è continuato con la sua famiglia, quando ha decorato e dipinto le stanze delle sue figlie. Il suo percorso creativo è caratterizzato da fasi in cui l'impulso di dipingere è più intenso, intervallate da momenti in cui si concede una pausa dall’arte. Nel corso della sua carriera, ha sperimentato diverse superfici, dipingendo su materiali come stoffa, legno e molti altri. Attualmente, lavora presso un centro di riciclo, una fonte inesauribile d’ispirazione per i suoi progetti artistici. Per lei, ogni oggetto è una potenziale opera d'arte, pronto a essere trasformato, dipinto e decorato con creatività. Una tecnica che ha abbracciato e fatto sua è la pittoscultura, che unisce pittura e scultura, fondendole armoniosamente in un’unica opera. Questa fusione di tecniche permette la creazione di dipinti tridimensionali che raccontano storie uniche. Per l'artista, la pittura è una forma di rilassamento, un modo per disconnettersi dalla realtà, soprattutto nelle ore serali, quando si dedica alla sua passione. Durante il periodo del Covid, come per molti, la pittura è stata un rifugio emotivo, e ha prodotto una serie di opere particolarmente intense e significative. Ogni suo quadro è un pezzo unico, carico di significati personali e storie che l'artista è sempre felice di condividere. (gci)
“WOMEN AS ART”: L’ARTE DI ROBERT FARBER CELEBRA LE DONNE
L’arte come strumento di celebrazione e sostegno alle donne. Con questo spirito si apre la mostra “Women As Art”, un’importante retrospettiva dedicata ai 50 anni di carriera del celebre fotografo Robert Farber, inaugurata presso Fornaciai Art Gallery a Firenze il 25 ottobre. L’esposizione, a cura di Gregorio Fornaciai, visitabile fino al 9 novembre, rappresenta un viaggio attraverso le opere più iconiche dell’artista, noto a livello internazionale per la sua straordinaria capacità di fondere arte e fotografia con una visione pittorica unica. Al centro del suo lavoro, tema che ha segnato tutta la sua carriera, è la donna fonte inesauribile di ispirazione e come simbolo di forza. “Women As Art” non è una semplice esposizione di immagini: è un tributo alla passione e al lungo percorso di Farber nel rappresentare la figura femminile in tutte le sue sfaccettature. L’artista ha dedicato gran parte della sua carriera a sensibilizzare il pubblico su temi importanti, come la ricerca sul cancro al seno e altre cause benefiche, attraverso il suo lavoro creativo. Questo impegno trova spazio anche in questa mostra, che propone un’accurata selezione di opere provenienti da diverse serie fotografiche e dove ogni immagine racconta storie di donne, rappresentate con sensibilità e profondità. "Ho trascorso 50 anni della mia carriera fotografica - spiega Farber - dedicandomi a catturare la bellezza e l'anima delle donne attraverso vari generi, tra cui arte, moda e fotografia di bellezza. La mia retrospettiva, 'Women as Art', è un omaggio a questa passione e dedizione che ha accompagnato tutto il mio percorso artistico". L’evento è parte di un più ampio progetto promosso da Ellevate Her - un’organizzazione no-profit fondata in Florida da madre e figlia, Brooke Ferrer e Melissa Ferrer-Burke, con l’obiettivo di supportare le donne a superare traumi attraverso l’arte e a raggiungere il loro pieno potenziale - culminato lo scorso 26 agosto con una Silent Auction a Firenze per raccogliere fondi essenziali per l‘organizzazione, presso l’Hotel Number Nine, durante la quale sono state messe all’asta opere di Robert Farber realizzate con Melissa Ferrer-Burke e dell’artista Myra Fiori. Robert Farber e Melissa Ferrer-Burke collaborano da oltre 25 anni, Melissa ha lavorato dietro e davanti l’obiettivo come modella e attrice. La serie Rise Melissa, esposta in asta, nasce dalla loro prospettiva comune e combina magnificamente fotografia e pittura. Insieme hanno prodotto un corpus di opere che fonde magnificamente i loro talenti e le loro visioni distinte, dando vita a una narrazione avvincente che affronta il tema della rinascita, della resilienza e del coraggio delle donne di fronte alle sfide. "Collaborare con Melissa in questo progetto - prosegue Farber - è stato naturale, poiché condividiamo lo stesso desiderio di utilizzare l'arte come veicolo per il cambiamento sociale. Il suo lavoro porta una prospettiva fresca e potente su questo tema". Robert Farber è un fotografo di fama internazionale noto per il suo stile pittorico che spazia tra il mondo della fotografia artistica, commerciale e di moda, compresi nudi, nature morte, paesaggi e architetture, che ha influenzato generazioni di fotografi. Nato negli Stati Uniti, ha iniziato la sua carriera negli Anni ’70 e ha rapidamente acquisito riconoscimenti per il suo approccio delicato e sensibile verso il corpo umano, in particolare nella rappresentazione della figura femminile. Il suo lavoro commerciale e quello più specificatamente artistico si sono sviluppati in parallelo. I suoi editoriali e le sue campagne pubblicitarie hanno trovato spazio su alcune delle riviste più prestigiose a livello mondiale, dimostrando la sua versatilità nel ritrarre sia uomini che donne con grande raffinatezza. Nel corso della sua carriera, ha pubblicato numerosi libri fotografici, tra cui i celebri "By the Sea", "American Mood", e "Natural Beauty", che sono diventati un riferimento per gli amanti della fotografia di nudo artistico e di paesaggio. Il suo stile è caratterizzato da un uso morbido della luce e da una forte attenzione alla composizione, influenzata dall'arte pittorica, che conferisce ai suoi scatti una qualità quasi eterea. Fu Jacqueline Kennedy Onassis a portare Farber da Doubleday, casa editrice americana tra le più importati al mondo, per la pubblicazione del suo libro "By The Sea", che ha vinto l'Art Director's Award per la fotografia a colori. Farber ha ricevuto numerosi premi nel corso della sua carriera, tra cui il Photographer of the Year dalla PMA (Photographic Manufacturers Association), l'ASP International Award dalla PPA (Professional Photographers of America) e l'American Society of Photographers. Questo premio è stato assegnato a coloro che hanno dato un contributo significativo alla scienza e all'arte della fotografia. Tra i precedenti destinatari di questo premio figurano il Dr. Edwin Land (inventore della Polaroid), George Hurrell e il National Geographic. Ha tenuto conferenze per Ogilvy & Mather sul “Nudo in pubblicità”. L'ASMP (American Society of Media Photographers) ha chiesto di utilizzare i nudi di Farber come esempio di applicazione artistica a sostegno del National Endowment of Arts, dopo il suo supporto alla controversa mostra di Mapplethorpe/Serrano. Il suo libro, "Farber Nudes", è stato anche incluso nella collezione della Jacqueline Kennedy Onassis. Le sue opere sono state esposte in gallerie e musei di tutto il mondo. Ha tenuto conferenze presso lo Smithsonian Institute, la George Eastman House, nonché presso università e gruppi professionali negli Stati Uniti, in Giappone, Australia ed Europa. Farber, inoltre, è anche un attivista impegnato in cause benefiche. Ha dedicato particolare attenzione alla ricerca sul cancro al seno, utilizzando la sua arte per sensibilizzare il pubblico e raccogliere fondi a favore di questa importante causa. Il suo impegno verso le donne si riflette non solo nelle sue opere, ma anche nel suo supporto a organizzazioni come Ellevate Her, che mirano a migliorare le condizioni di vita delle donne in tutto il mondo. La PBS sta realizzando un documentario sulla sua vita e la sua carriera. Myra Fiori, invece, è una digital artist, una narratrice visiva che documenta, attraverso l'arte, le persone che sono state forgiate, quelle dimenticate e quelle che sono state sottovalutate o travisate. I suoi attuali progetti di collage fotografici includono A Decorated Woman, una selezione di donne realizzate, complesse e perseveranti che hanno infranto miti, confini, norme sociali e ruoli di genere e Love Notes, parole che sfidano il pensiero, educano, ispirano, potenziano e divertono. (gci)
A REGGIO EMILIA LE ESPOSIZIONI "ATTRAVERSO I DILUVI" E "DEADWEIGHT"
Collezione Maramotti di Reggio Emilia ha annunciato l’apertura di due nuove mostre: "Attraverso i diluvi", mostra collettiva, e "Deadweight", personale di Dominique White, dal 27 ottobre al 16 febbraio 2025. "Attraverso i diluvi", ampia esposizione collettiva concepita a partire da opere dell’archivio della Collezione - molte delle quali mai esposte in questi spazi - riflette sul tema della catastrofe accompagnata, per la prima volta, da capolavori di arte del passato in prestito da importanti istituzioni italiane e internazionali. Con oltre cinquanta opere dal XII secolo a.C. al 2024, la mostra si pone come sguardo asincrono sulle catastrofi dell’uomo e del mondo, evocando corrispondenze tra immagini appartenenti a epoche distanti tra loro, ma anche rivelando i mutamenti di sensibilità e di percezione dell’esperienza del disastro nel tempo. Dominique White, vincitrice della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women, presenta invece la mostra "Deadweight", costituita da un gruppo di opere realizzate nel 2024. Dopo la prima tappa dell’esposizione alla Whitechapel Gallery di Londra, White ha ideato un nuovo allestimento adattato agli spazi della Collezione. "Deadweight" è una stimolante esplorazione della ribellione e della trasformazione, e comprende quattro grandi sculture che proseguono l’interesse dell’artista per la creazione di nuovi mondi attorno al concetto di "Blackness" e al fascino della potenza metaforica e della forza rigenerante del mare. (gci)
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