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E alla fine sarà
Trump contro Trump

E alla fine sarà <br> Trump contro Trump

di Franco Fregni

Si sono concluse le elezioni americane con l’esito più scontato di sempre. Bastava guardare le quotazioni dei bookmaker, gli unici veri sondaggisti rimasti, per capire come Kamala Harris non avesse alcuna possibilità di vincere. Se sei quotato quasi a tre e il tuo avversario poco più di uno e mezzo serve un miracolo - o una combine - per arrivare al successo.
Resta da capire perché la grancassa dei media occidentali continuasse a parlare di un possibile successo di Harris quando era chiaro che non aveva alcuna chance. Davvero c’è qualcuno che pensa che scrivere sui giornali europei o parlare alle televisione mondiali possa cambiare l’esito delle elezioni americane? Trump ha vinto perché rappresenta la maggioranza del popolo americano, bianchi travolti dall’ennesima rivoluzione tecnologica della storia dell’umanità, dimenticati e villipesi delle élite cosmopolite che ormai hanno perso irrimediabilmente il rapporto con la realtà.
E’ il popolo descritto nella bella “Hillbilly Elegy” dallo scrittore-marine J. D. Vance, non a caso vice di Trump dopo essere stato suo avversario. E l’elegia dei monti appalacchiani non vale solo per gli Stati Uniti, ma vale anche per la Pianura Padana, la valle del Reno, quella del Mersey e quella della Loira ed è quindi, per così dire, naturale, che la destra vinca quasi ovunque. La sinistra cosmopolita è ritenuta responsabile della decadenza di generazioni che hanno vissuto - o goduto di riflesso -, i benefici del “Boom”, i “Trente Glorieuses” e il “Wirschaftswunder” e adesso stanno perdendo potere e soprattutto soldi nell’epoca degli smartphone e dei data center. Di generazioni che hanno conosciuto un mondo di nitidi “bianchi e neri” sociali e culturali e adesso deve affrontare una confusa realtà “arcobaleno” che non comprendono.
In realtà tutta la politica è responsabile di non aver capito e di non aver guidato una straordinaria mutazione tecnologia e sociale. Alla sinistra cosmopolita può essere imputato il sovrappiù di aver assecondato questa mutazione e la globalizzazione che hanno portato a consensi in una prima fase - quella dei vantaggi della trasformazione in atto - e poi alla riprovazione quando sono emersi gli svantaggi di questo cambiamento epocale.
Adesso però Trump, capace di un ritorno non banale, deve rispondere alle domande di questo popolo. Nel discorso post vittoria si è già visto qualcosa: un sogno tecnologico, una “new frontier” non più di Kennedy ma di Musk. Avremo il mondo pieno di razzi? Conquisteremo Marte come conquistanno prima Gerusalemme e poi le Americhe e l’Oriente? Chissà. E sui razzi che andranno su Marte saranno imbarcati solo i figli di questi “bianchi dimenticati”, così come i cadetti andarono ad Oriente nel Medioevo?
Tutto è possibile, ma se ciò non avvenisse è facile vedere quello che succederà: questo popolo dimenticato, quello di J. D. Vance, si ribellerà a Trump, trascinandosi dietro tutti gli altri popoli, quelli “arcobaleno” e avverà quel sovvertimento che è la naturale espressione sociale del mutamento tecnologico e climatico che abbiamo di fronte.

(© 9Colonne - citare la fonte)