“La missione principale della nostra Associazione è far sì che dei professionisti competenti e soddisfatti riescano a lavorare in tutti i campi di applicazione della nostra professione, dal cantiere alla Pubblica amministrazione. L’obiettivo è fare dell’archeologia un posto migliore e più sicuro. È per questo che, nel 2004, è nata questa Associazione, dalla volontà di un gruppo di studenti universitari che hanno capito che solo insieme era possibile far crescere la nostra categoria”. Così Angela Abbadessa, presidente della Confederazione Italiana Archeologi, ha aperto stamattina il convegno “20 anni di CIA, 20 anni per l’archeologia - Dal Codice al Cantiere: base normativa, prospettive di sviluppo e crescita professionale", in corso a Roma presso l'Ex Cartiera Latina per festeggiare i venti anni di vita della Confederazione. La giornata, a cui seguirà domani l’Assemblea dei soci, è stata l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte della professione dell’archeologo in Italia, riconosciuta come tale solo dal 2014 tramite una legge i cui decreti attuativi risalgono soltanto al 2019. “I primi dieci anni di vita della Confederazione sono stati dedicati proprio a questo, a far riconoscere la nostra come una professione regolamentata, protetta e tutelata – ha precisato la presidente - Ci siamo riusciti nel 2014 con l’emanazione della legge 110, ma abbiamo continuato a lavorare a questo scopo fino al 2019, quando finalmente sono stati emanati i decreti attuativi di quella legge, alla cui stesura abbiamo partecipato. Ma il lavoro non è finito: con la commissione nata dal DM 244 lavoriamo tutt’ora per rendere meglio applicabile la norma”.
Sono dunque ancora tante le sfide e tanti i dibattiti che deve affrontare la professione dell’archeologo e di cui la CIA si fa portavoce: “Stiamo lavorando anche per dare maggiore autorevolezza alla nostra professione in tutti i campi, ad esempio nella realizzazione delle opere pubbliche, in cui l'archeologia è chiamata a esprimersi in favore della tutela del patrimonio archeologico, tutela garantita dalla nostra Costituzione e che quindi è fondamentale per lo sviluppo dell'Italia, allo stesso modo per cui sono fondamentali anche le opere pubbliche”, ha detto Angela Clara Infarinato, vicepresidente di CIA. Operando per lo più nei cantieri, ha proseguito la vicepresidente, “siamo soggetti ai rischi che un cantiere ha in sé; quindi, stiamo lavorando anche per garantire la sicurezza sul posto di lavoro agli archeologi, e la nostra tutela professionale e personale. A questo scopo abbiamo avviato anche una sorta di collaborazione con l'INAIL per il riconoscimento dei rischi sul cantiere, degli adempimenti, ma anche delle difficoltà professionali legate alle malattie professionali”; ha concluso.
Retribuzioni e divari di genere: chi sono e come lavorano gli archeologi in Italia
L’identikit dell’archeologo italiano del 2024 corrisponde al profilo di una donna di circa 42 anni, libera professionista ed estremamente formata (molto spesso ha conseguito oltre alla laurea anche dottorato e specializzazione) che guadagna annualmente tra i 25 e i 30.000€, dunque poco al di sotto degli stipendi medi nazionali. È il primo dato emerso dalla ricerca DISCO (Discovering the Archaeologists of Italy 2024), condotta dalla Confederazione Italiana Archeologi (CIA) e presentata oggi in occasione del convegno “20 anni di CIA, 20 anni per l’archeologia - Dal Codice al Cantiere: base normativa, prospettive di sviluppo e crescita professionale” dal dott. Alessandro Pintucci (socio fondatore e membro del Consiglio direttivo della CIA, nonché ex presidente) e dalla dott.ssa Cinzia Rampazzo (presidente della CIA Veneto). Le analisi, fondate su una base statistica molto ampia (più di 1.250 risposte su un campione stimato di circa 4.200 archeologi attivi in Italia), rilevano dunque ancora una prevalenza femminile, sebbene la presenza maschile sia in aumento: la differenza percentuale tra uomini e donne si è infatti ridotta, passando da un rapporto di 70/30 a quello attuale di 64/36. Nonostante l’archeologia venga ancora percepita da molti come una professione “per le donne”, la strada per una piena parità di genere in questo campo è ancora lunga. Analizzando le retribuzioni, infatti, la ricerca ha evidenziato un persistente divario tra generi quando si parla delle fasce più alte dei compensi (da 30.000 fino a oltre i 100.000€ annui), in cui troviamo circa il 15% delle donne, contro il 29% degli uomini, quasi il doppio. Altri dati sui compensi evidenziano i nessi con il livello di formazione: infatti, ben il 70% degli archeologi ha una formazione superiore alla laurea, rispetto al 53% del 2014, mentre i soli triennalisti sono rimasti come 10 anni fa intorno al 6%. Sono dunque i laureati che negli ultimi 10 anni hanno investito sulla propria formazione, con il 42% che ha un diploma di specializzazione, il 15% un dottorato e il 13% entrambi i titoli. Dal punto di vista salariale sembra essere il dottorato la chiave per le retribuzioni più alte, in una percentuale decisamente maggiore al diploma di specializzazione. I possessori della sola laurea triennale sono, invece, anche quelli che mediamente hanno retribuzioni più basse. Per quanto riguarda i contratti, crescono quelli a tempo indeterminato: nel 2024 sono il 30,1% rispetto al 16% del 2014, mentre l’11% sono a tempo determinato (rispetto al 14% del 2014). Il 58,9% degli archeologi è invece un free lance (contro il 43% del 2014): nello specifico, il 52% lavora con la partita Iva (il 31,9% dei quali da più di 10 anni), il 5,4% lavora da collaboratore senza partita Iva. Infine, il 22% è dipendente di un’amministrazione pubblica, il 17,9% dipendente nel settore privato. Buone le notizie sulla disoccupazione: solo il 2,6% infatti si dichiara disoccupato, contro il 28% del 2014, in piena crisi economica. Nel complesso, la professione appare quindi decisamente più stabile di 10 anni fa, elemento che contribuisce più di ogni altro alla lettura positiva della situazione attuale, una circostanza che sembra aver inciso positivamente sulla qualità della vita dei professionisti, meno soli di 10 anni fa e più propensi a mettere su famiglia (il 33,15% dichiara di avere figli, rispetto al 19% del 2014). Dati decisamente più negativi sono invece quelli che emergono sul tema delle molestie sul lavoro, con più di un archeologo su 5 che dichiara di averne subite. Anche qui pesa il divario di genere: sono infatti per lo più donne le professioniste che riferiscono di molestie. Nel 60% dei casi si tratta di episodi che causano stress e ansia sul luogo di lavoro, ma solo il 27% denuncia, mostrando come sia ancora poco diffusa la percezione del problema ma, soprattutto, come persista la sensazione che non esistano soluzioni a portata di mano e quindi convenga “far finta di niente” di fronte a certi soprusi, come ha dichiarato di fare un terzo dei partecipanti alla ricerca. Per quanto riguarda gli autori delle molestie (soprattutto verbali) sembrano essere esterni al gruppo di lavoro degli archeologi.
Al convegno di oggi hanno preso parte anche la dott.ssa Elodia Zito (Ufficio legislativo del Ministero della Cultura); la dott.ssa Valeria Boi (Istituto Centrale per l’Archeologia – ICA); il Capitano Lorenzo Galizia (Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale); la prof.ssa Elena Calandra (Università degli Studi di Pavia); la dott.ssa Valentina Di Stefano (CISL); il dott. Daniele Branca (LegaCoop); Nicola Testa (Coordinamento Libere Associazioni Professionali - COLAP); il dott. Federico Trastulli (UIL); le dott.sse Cristina Anghinetti e Daria Pasini (Archeoimprese); la dott.ssa Grazia Facchinetti (API - Archeologi Pubblico Impiego); la dott.ssa Susanna Bianchi (Legacoop) e il dott. Giovanni Rivaroli (CNA). (16 nov-mol)
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