di Paolo Pagliaro
I 10 miliardi offerti da Unicredit per acquistare Banco Bpm eccitano la politica, dato che la preda è il maggior operatore creditizio nelle ricche regioni del nord e il suo partito di riferimento è la Lega. Un po’ come un tempo lo fu il Pd per il Monte dei Paschi di Siena. Nel gran vociare di questi giorni sono dunque rappresentati interessi facilmente riconoscibili: quello dei partiti, quello delle diverse anime governative, quello dei poteri finanziari. Il punto di vista che manca è quello dei clienti, che nel caso del Banco Popolare sono circa 4 milioni.
Le aggregazioni bancarie sono uno dei fenomeni finanziari più importanti del nuovo millennio ma è raro che il giudizio sulla loro riuscita tenga conto dell’analisi costi/benefici per i depositanti e per chi chiede credito. Qualcuno ogni tanto ci prova, ma sono esercizi per addetti ai lavori. Quando dirigeva il servizio studi della Banca d’Italia, di cui oggi è il governatore, Fabio Panetta firmò una ricerca sugli effetti delle fusioni dal punto di vista dei consumatori . Ne concluse che solo le fusioni che danno luogo a significative riduzioni dei costi delle banche sfociano nel lungo periodo in una maggiore remunerazione dei depositi.
Altri economisti spiegano invece che fusioni e acquisizioni, poiché riducono il grado di concorrenza, vanno a scapito della clientela. Altri ancora fanno notare che i profitti della banche ormai derivano più dalla vendita dei prodotti finanziari e assicurativi che non dai prestiti. Sta di fatto che nel primo semestre di quest’anno le principali banche italiane hanno realizzato profitti per oltre 13 miliardi mentre i prestiti a imprese e famiglie sono diminuiti in un anno di 30 miliardi. Forse c’è un nesso.