Prima o poi capita quasi a tutti di vedere ombre o filamenti che fluttuano nel campo visivo: si chiamano miodesopsie o corpi mobili vitreali e sono immagini di piccoli corpuscoli che sembrano fluttuare davanti a noi. Per questo sono conosciute anche come ‘mosche volanti’ che alterano la nostra visione, spesso accompagnate da flash luminosi. Secondo le stime riguardano fino al 76% della popolazione generale, con un rischio di circa 4 volte più alto in chi è miope. L’eccessivo uso dello smartphone e le lunghe ore passate di fronte agli schermi dei computer potrebbero non essere estranee all’ampia diffusione delle ‘mosche volanti’: stando ad alcune ipotesi la luce blu dei dispositivi elettronici potrebbe favorire la degenerazione del corpo vitreo alla base del problema, che spesso non ha conseguenze ma a volte è il primo sintomo di un distacco di retina. Proprio per questo i metodi più innovativi per la corretta diagnosi e per la terapia dei corpi mobili vitreali sono stati discussi dai massimi esperti internazionali a Firenze durante il congresso FLORetina ICOOR.
“Le opacità del vitreo, percepite in genere come ombre o filamenti fluttuanti, dipendono da alterazioni nella struttura del corpo vitreo, la ‘gelatina’ che riempie l’interno dell’occhio e che è fondamentale per mantenerne la trasparenza e la stabilità meccanica – spiega Stanislao Rizzo, presidente di FLORetina ICOOR, direttore del Dipartimento di Oculistica del Policlinico Gemelli IRCCS e ordinario di oculistica presso l’Università Cattolica di Roma -. Con l’avanzare dell’età, o anche in presenza di miopia elevata, il corpo vitreo subisce una progressiva liquefazione e può distaccarsi dalla parte posteriore dell’occhio, due fattori che contribuiscono alla formazione delle ‘mosche volanti’.
“Si tratta di opacità spesso innocue, ma si stima che nel 33% dei casi possano compromettere la visione e per esempio diminuire fino al 67% la sensibilità al contrasto - aggiunge Francesco Faraldi, direttore della Divisione di Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano – Umberto I di Torino -. Anche se l’acuità visiva non è compromessa, ciò comporta un drastico peggioramento della qualità di vita: i pazienti lamentano difficoltà visive e un impatto negativo su attività quotidiane come la lettura o la guida. Inoltre, non devono essere sottovalutate perché possono essere il primo segno di un distacco della retina”.
Fino a oggi la gestione dei corpi mobili vitreali è stata complicata anche perché non esistevano metodi standardizzati per documentarli e c’era un netto divario fra i sintomi riferiti dal paziente e ciò che l’oculista riusciva a osservare. Nuove tecniche di imaging stanno però finalmente cambiando la possibilità di diagnosi, come continua Daniela Bacherini, ricercatrice in Malattie dell'Apparato Visivo presso il Dipartimento di Neurofarba dell’Università di Firenze: “Le tecnologie di imaging dinamico del vitreo e di imaging a campo ultra-largo (ultra-widefield) integrate con scansioni OCT consentono una visualizzazione più dettagliata di una struttura finora difficile da osservare, permettendo di analizzare con precisione la densità, la posizione e il movimento delle opacità vitreali. Le nuove tecnologie consentono di catturare dettagli tridimensionali e dinamici delle anomalie vitreali, migliorando significativamente la comprensione di ciò che i pazienti percepiscono come “mosche volanti”. “Tutto questo consente di uniformare le valutazioni e migliorare le diagnosi, fornendo dati oggettivi che possono essere correlati ai sintomi riferiti dai pazienti, oltre che essere utili per strategie di trattamento più efficaci e personalizzate. Oggi la vitrectomia mini-invasiva rappresenta un’opzione per i casi più gravi”, conclude Rizzo. (9 dic - red)
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