Si è conclusa la vicenda che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso in attesa della liberazione della giornalista Cecilia Sala, trattenuta in carcere in Iran dal 19 dicembre. Stamattina, Palazzo Chigi ha fatto sapere che la giornalista 29enne si trovava a bordo di un aereo decollato da Teheran per il rientro della cittadina italiana dopo venti giorni di detenzione. Ma quali sono state le tappe che hanno portato al suo rientro in patria? Sala si trovava in Iran per lavoro dal 13 dicembre, con un regolare visto giornalistico, per raccogliere materiale per il podcast di Chora Media “Stories” e per i suoi reportage per Il Foglio. Dopo circa una settimana, è stata arrestata nell’albergo in cui alloggiava e portata in una cella di isolamento nella prigione di Evin, nota per essere la struttura dove vengono detenuti oppositori politici, giornalisti e cittadini stranieri. Non a caso, a Evin si trova anche Narges Mohammadi, vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2023 per il suo attivismo a favore dei diritti umani e contro l’uso dell’hijab in Iran. La notizia della detenzione di Cecilia Sala, tuttavia, viene diffusa solo il 27 dicembre attraverso una nota della Farnesina, poiché le autorità italiane e la famiglia avevano chiesto il silenzio sperando in una scarcerazione celere. Parallelamente, anche Chora Media, su Instagram, ha reso pubblico un aggiornamento sulla situazione, specificando che l’allerta è scattata il 19 dicembre quando la giornalista ha smesso di rispondere ai messaggi. Il suo volo di ritorno era previsto per il 20 dicembre, ma la Sala non è mai salita su quell’aereo. Sempre il 27 dicembre, l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, ha fatto visita in cella alla giornalista, così da verificarne condizioni di salute e trattamento durante la detenzione. A rendere delicata la questione anche la poca trasparenza del governo iraniano sulle motivazioni che hanno motivato l’arresto. Il 31 dicembre, infatti, il Ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico ha semplicemente fatto sapere che si è trattata di una violazione della “legge della Repubblica islamica dell’Iran”.
La vaghezza delle motivazioni da parte dell’Iran ha fatto sospettare che il fermo della Sala fosse una conseguenza della possibilità di scambio con Mohammad Abedini Najafabadi, ingegnere iraniano 38enne (con cittadinanza svizzera) fermato all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre, su mandato di arresto degli Stati Uniti. Nello specifico, è accusato di aver fornito materiali elettronici e droni all’Iran nonostante i divieti statunitensi, oltre ad aver dato supporto ai Pasdaran, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica che gli USA considerano un’organizzazione terroristica. Abedini Najafabadi dopo il fermo era stato condotto prima nel carcere di Busto Arsizio e in seguito nel carcere di Rossano Calabro, finendo infine nel carcere milanese di Opera. L’ingegnere iraniano è in attesa che la Corte d’Appello di Milano decida il 15 gennaio sulla sua estradizione negli Stati Uniti, mentre la Procura generale di Milano si è opposta ai domiciliari. Attualmente, non è ancora chiaro l’impatto che la liberazione di Sala avrà sul futuro di Abedini Najafabadi. Il legame tra le due vicende inizialmente è stato confermato su X dall’ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma, dopo l’incontro del 2 gennaio tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e l’ambasciatore iraniano Mohammad Reza Sabouri. Tuttavia, il contenuto del post è stato smentito successivamente il 6 gennaio dal Ministero degli Esteri iraniano, che ha confermato l’inchiesta su Sala ma ha negato il legame con la situazione di Abedini Najafabadi.
Il governo italiano, oltre alla prima comunicazione della Farnesina, aveva fatto sapere il 29 dicembre che il premier Giorgia Meloni stava seguendo la vicenda sin dall’arresto, insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Del 2 gennaio è la riunione per discutere la questione, a cui hanno partecipato anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il consigliere diplomatico della presidente, Fabrizio Saggio. Nello stesso giorno, anche la telefonata tra Meloni e i genitori della giornalista. Poi, a sorpresa, la visita del presidente del Consiglio a Trump: è il 5 gennaio e Meloni vola in Florida, nella residenza di Mar-A-Lago, per discutere con il neoeletto presidente statunitensi di alcuni temi. Ma sui dettagli dell’incontro e sugli esiti è rimasto il riserbo. Il giorno dopo, il sottosegretario Mantovano era al Copasir per un’audizione di due ore e mezza, per la stampa dedicate alle dimissioni di Elisabetta Belloni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), rese note il 7 gennaio ed effettive dal 15 gennaio. Ma la stessa Belloni, sul Corriere della Sera, ha smentito che le dimissioni vanno collegate alla gestione del caso Sala. Ora, con la conclusione della detenzione, rimane aperta la questione delle conseguenze che avrà, soprattutto nelle relazioni con l’Iran. (8 GEN - gci)