di Paolo Pagliaro
Giorgia Meloni ha detto il vero quando ha rivendicato il calo degli sbarchi e la longevità del suo governo, o quando ha parlato della legge sulla cittadinanza e della nomina dei giudici costituzionali. Ma ha confuso i dati sull’occupazione con quelli sul lavoro stabile e a tempo pieno, ha esagerato i meriti dell’esecutivo nella lotta all’evasione fiscale, ha fatto confusione sulle sentenze della Corte di Cassazione che riguardano i migranti.
Il fact checking del sito Pagella Politica sul discorso della premier anche questa volta rivela indipendenza di giudizio e attendibilità delle fonti, requisiti indipensabili per misurare la veridicità di ciò che viene detto dai poltici o divulgato dai media.
Il problema della commistione tra verso e falso, informazione e propaganda oggi riguarda soprattutto i social network, dove – stando a un sondaggio di Demopolis - 7 italiani su 10 ritengono di poter incorrere in forme di disinformazione o in notizie false.
Il 44% dubita spesso della credibilità delle informazioni, viste o lette su Facebook, TikTok, X o Instagram. Un quarto le mette in dubbio solo qualche volta, il 20% si fida. Pochi, tra gli utenti dei Social, tendono a controllare la veridicità di una notizia in Rete, cercando conferma da altre fonti: lo fa sempre 1 su 10, spesso il 23%, qualche volta il 27%. Non lo fa mai il 40%.
In questo scenario si inserisce la notizia della decisione di Mark Zuckerberg di porre fine, già da subito negli Stati Uniti, al fact checking e alla politica di moderazione dei contenuti sulle piattaforme Meta, cioè Facebook ed Instagram. L’istituto diretto da Pietro Vento ha chiesto l’opinione degli utenti italiani, che si dividono. Il 42% ritiene giusta la scelta di Zuckerberg, in nome della libertà di espressione; per il 40%, invece, è una decisione sbagliata che finirà con l’incrementare la disinformazione e le fake news.