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SEGRE: L'ANTISEMITISMO AVANZA,
LA SHOAH SARA' DIMENTICATA

SEGRE: L'ANTISEMITISMO AVANZA, <BR> LA SHOAH SARA' DIMENTICATA

“Purtroppo sono molto pessimista. Il pessimismo aumenta in un tempo come quello di oggi quando nessuno più studia storia, geografia. Quando nessuno si toglie da quel telefonino per pensare. Allora senza cultura, senza morale e senza pensare a se stessi come un ente eccezionale che è ognuno di noi, non si può che essere pessimisti. Quando tutti ormai saremo morti, noi sopravvissuti ormai siamo pochissimi, i nostri diretti eredi e i bravi insegnanti ricorderanno per un po’, poi ci sarà una riga in un libro di storia e poi più neanche quella”. Così la senatrice a vita Liliana Segre intervenendo ieri a Che Tempo Che Fa sul Nove. “Quando è stata istituita la Giornata della Memoria, in realtà è stata un’apertura verso il passato, ma è sempre sembrato riguardare quello che è successo dalla parte delle vittime – ha sottolineato -. In realtà io, e molti altri come me, abbiamo sempre sentito il significato della Giornata della Memoria per chi vittima non è stata, perché ci si ricordi di quella data memorabile della liberazione del campo di Auschwitz come una data da ricordare. Prima non c’era e da quel giorno ci sono state iniziative, discorsi, testimonianze per ricordare una giornata particolare”. Sulle tante reazioni degli haters in questi giorni per l’uscita del documentario di Ruggero Gabbai “Liliana”: “Un po’ me l’aspettavo, anche perché io sono da sei anni sotto scorta e se una vecchia donna come me viene messa sotto scorta”, “nel 2018 cominciò la scorta, la ministra dell’Interno di allora che era Luciana Lamorgese mi disse: ‘Non te lo chiedo, da domani hai la scorta’ perché già allora avevo minacce, odiatori… Ma chi sono questi personaggi? Non riesco bene a definirli. Poi immaginavo che con il film ce ne sarebbero stati anche di più e così è”, “l’antisemitismo c’è sempre stato, purtroppo io da quando ero bambina l’ho dovuto incontrare con le conseguenze. Dopo la guerra erano successe così tante cose che si fingevano o erano, questo è da decidere, tutti amici degli ebrei. Poi man mano, io l’ho sempre sentito l’antisemitismo. Non era manifesto come adesso, ma c’è sempre stato, dal punto di vista razzista proprio, dal punto di vista religioso, dal punto di vista personale: ci sono tanti motivi”.  Sulla paura: “Devo dire la verità, io non ho paura perché sono diventata così vecchia. Avevo molta paura quando ero bambina. Poi man mano che le cose mi sono capitate, c’è stata una ragione importantissima, etica, morale che era l’amore grande che io avevo ricevuto da bambina. E quando uno è stato amato nella vita ha uno scudo davanti a sé, che non è visibile, ma che ti protegge per tutta la vita. Io, ancora oggi che ho 94 anni, nel ricordo di mio padre, dei miei nonni ho una specie di scudo, di corazza che è fatta di amore e che ha vinto sull’odio”. Segre ha anche ricordato la marcia della morte da Auschwitz che ha vissuto negli ultimi giorni del regime nazista: “Erano giorni che noi sentivamo aerei sopra di noi. Non bombardarono mai nelle fabbriche e nella linea ferroviaria. Sentivamo degli scoppi in lontananza, vedevamo del fuoco, ma, non avendo mai avuto né un giornale né sentito una radio perché eravamo schiave, non sapevamo che cosa ci stesse succedendo, speravamo ma non immaginavamo fino a che punto quelle giornate fossero decisive per quella parte d’Europa. Poi a noi che lavoravamo nella fabbrica Union – per fortuna io fui operaia nella fabbrica Union e lavorai al coperto, quelle che lavoravano allo scoperto senza mangiare e diventate scheletri, durarono poco - di colpo venne dato ordine, mentre stavamo lavorando, di uscire in un orario che non era certo quello della fine del turno. Cominciammo, senza neanche sapere perché, quella che fu chiamata poi ‘la marcia della morte’. Fu chiamata così perché durò mesi, praticamente fino alla fine di aprile, ai primi di maggio, attraverso la Germania: da Auschwitz al nord della Germania c’erano tanti chilometri, intervallati da altri campi, da altri orrori, da altre prigionie. Chi si fermava, chi non ce la faceva più a camminare, veniva ucciso. Io imparai lì, dato che volevo vivere, a mettere, con sacrificio enorme, con fatica, con desiderio di vita, una gamba davanti all’altra. Il significato di quella marcia è il significato della scelta di vita davanti alla morte, che non mi abbandona mai, neanche adesso che sono così vecchia. Io il 27 gennaio ero già in marcia da giorni. Della liberazione lessi poi quando già ero una donna, quando lessi delle storie che non volevo neanche leggere”. “I nostri persecutori – ha proseguito la senatrice a vita - erano terribilmente severi e uccidevano quelle che non potevano camminare. Eravamo ridotte a un punto che anche quando un’altra poveretta cadeva e veniva uccisa il pensiero era: ‘Io ce la devo fare, devo camminare’. Non mi voltavo a guardare”, “le donne che erano partite, credo intorno al 20 di gennaio, quando arrivarono dopo mesi di marcia alla fine di aprile, primo di maggio, non erano le stesse persone, erano cambiate. Erano più magre, più sfinite, più egoiste…”. Sulle soste effettuate durante il cammino: “Non c’era una regola, quando c’era l’ordine di fermarsi potevamo essere in aperta campagna, vicino a una stazione bombardata, oppure dentro altri lager”, “quindi c’erano delle soste alla marcia, magari di un mese in un campo, come Ravensbruck che era terribile anche quello”. (27 gen - red)

 

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