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direttore Paolo Pagliaro

CINEMA, PUPI AVATI:
UN MINISTERO AD HOC

CINEMA, PUPI AVATI: <BR> UN MINISTERO AD HOC

“Non è la solita boutade, siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro. Chiuda gli occhi e immagini un produttore cinematografico italiano, uno di quelli che considera ricco sfondato, senza ovviamente farmi il nome. Fatto? Ecco, anche lui non dorme sonni tranquilli. Sta per finire tutto”. Lo afferma Pupi Avati in una intervista al Corriere della Sera. Colpa della fine del tax credit imposta dal governo? “Il governo non può permettersi il lusso di lasciar morire il cinema perché erroneamente lo considera una cosa fatta da gente di sinistra e destinata a elettori di sinistra – afferma l’86enne regista -. Sarebbe uno sbaglio madornale. Com’è noto ho sempre votato al centro, spesso per Forza Italia; ma questo non ha mai rappresentato un pregiudizio che mi impedisse di apprezzare o di non apprezzare i miei colleghi a seconda della loro appartenenza politica. Ci sono registi e produttori straordinari anche oggi, sono patrimonio del Paese. È il loro coinvolgimento che ci occorre se vogliamo far rinascere il cinema italiano; il governo e l’opposizione ci dedichino un momento del loro tempo prezioso immaginando una rinascita del nostro cinema. Che oggi è fermo, immobile”, “Meloni non abbia paura del cinema e non tema che sia fatto solo da gente di sinistra e per gente di sinistra perché non è così. Insieme all’opposizione, lavorino tutti per rendere possibile che una commissione composta da veri esperti del settore verifichi la fattibilità di questo nuovo ministero e si riparta daccapo. Per esempio, incoraggiando con i finanziamenti pubblici e il tax credit quelle produzioni a basso costo che possono dare grandi soddisfazioni, in sala e anche nel mercato internazionale. Basti guardare a Vermiglio o a Il ragazzo con i pantaloni rosa, costati pochissimo, che hanno portato risultati economici e di prestigio. Non c’è bisogno di grandi soldi per fare un ottimo prodotto. Anzi, spesso, con meno si fa meglio. I miei film di maggiore successo li ho fatti con due lire. Quando ho avuto a disposizione grandi budget, ho fatto grandi disastri”, “c’è bisogno di togliere delle competenze dal ministero della Cultura e creare un ministero ad hoc per il cinema, gli audiovisivi e la cultura digitale", "non può esistere un ministero che contemporaneamente si occupi di Uffizi e di Netflix perché sono cose troppo diverse”. Che cosa bisognerebbe fare? “Iniziare a guardare a quello che fanno per esempio in Francia, dove il Centre national du cinéma et de l’image animée sostiene l’economia cinematografica, audiovisiva e multimediale, promuove prodotti, tutela il patrimonio”. La Direzione generale Cinema e audiovisivo non è sufficiente? “Là c’è Nicola Borrelli, professionista bravissimo: fa un ottimo lavoro e, nell’eventualità venisse accolta la proposta, sarebbe una risorsa. Ma abbiamo prodotto e sostenuto troppi film, tutti a budget altissimo, che spesso non ha visto nessuno. Col cambio del tax credit e questa fase di incertezza, in molti sono paralizzati da debiti e paura”. Inoltre sostiene che dopo 60 di cinema oggi è ”povero”, con una casa nel centro di Roma in cui vive da 55 anni, “in affitto” perché per comprare una casa sua “non ho i soldi”. “Ci sono stati anni - racconta - in cui ne ho avuti, anni in cui le banche elargivano così tanto credito al cinema italiano che mio fratello Antonio (da sempre il suo produttore, oltre che sceneggiatore, ndr) girava con la carta in titanio dell’American Express. Con quella potevi alzare il telefono e prenotare un volo per l’Australia con la cena nel miglior ristorante di Sidney appena atterrato, senza neanche arrivare a domandarti quanto avessi sul conto. I soldi giravano, punto. Ora a stento c’è il bancomat”. (6 feb – red)

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