Oggi ricorre la Giornata mondiale della giustizia sociale promossa dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema e incentivare azioni concrete a livello internazionale. In occasione della Giornata la Fondazione Openpolis ha redatto un rapporto dal titolo “Come le disuguaglianze economiche affliggono la condizione minorile” da cui emerge che l’Italia è uno dei paesi europei con minore mobilità sociale, ovvero in cui risulta più difficile per chi nasce in una famiglia povera migliorare la propria condizione economica e sociale rispetto ai genitori. Un aspetto che emerge nei diversi indicatori presi in considerazione da istituzioni come Ocse e World economic forum. Tali disuguaglianze hanno un impatto anche sugli esiti educativi, rilevabili già prima dell’emergenza Covid e confermati negli anni successivi. Secondo dati Istat nel 2023 il 12,4% delle famiglie italiane con minori a carico, quasi 748mila, si sono trovate in povertà assoluta ed oltre 1 milione e 295mila minori si trovavano a vivere in una condizione di povertà assoluta (13,8% a fronte di una media nazionale del 9,7%). Una situazione più frequente al sud (15,5%) rispetto al nord del paese (12,9%).
Secondo i dati Istat la percentuale di famiglie a bassa intensità lavorativa a livello nazionale è andata in costante aumento negli ultimi 3 anni della rilevazione. Si è passati infatti dal 44,1% del 2017 al 48,4% del 2019, un incremento di ben 4,3 punti percentuali. Con la sola eccezione della Liguria (52,4%) sono le regioni meridionali a far registrare la più alta incidenza di famiglie a bassa intensità lavorativa. La quota più alta è quella della Sicilia con il 58%. Seguono Calabria (57,5%), Campania (53,1%) Puglia (52,9%), Molise (51,4%) e Sardegna (50,8%). Anche nel centro-nord si registra un’incidenza superiore al 40% nei comuni con oltre 5.000 abitanti. In Trentino-Alto Adige ad esempio, si trova la quota più bassa, ma si parla comunque del 41,2%. Questi livelli possono essere spiegati da un lato con la bassa occupazione femminile che caratterizza il nostro paese in ambito europeo, specialmente per le donne con figli; dall’altro con la presenza del lavoro sommerso che, come noto, è molto alta nel nostro paese. (PO / redm - segue)
A livello di comuni capoluogo, le 3 città in cui si registra la percentuale più alta di famiglie a bassa intensità lavorativa si trovano tutte in Sicilia. Si tratta di Catania (60,6%), Palermo (58,6%) e Trapani (58,5%). Il primo capoluogo non siciliano è la calabrese Taranto (58,6%). Le percentuali più basse si trovano invece a Prato (40,2%), Reggio Emilia (42,3%) e Trento (43,9%). Considerando invece tutti i comuni oggetto della rilevazione possiamo osservare che la percentuale più alta in assoluto si registra a Lavena Ponte Tresa nel varesotto (74,3%). Troviamo poi Francofonte in provincia di Siracusa (70,2%) e Cannobio in provincia di Verbano-Cusio-Ossola. Le percentuali più basse si trovano invece a Livigno in provincia di Sondrio (26,4%), a Massanzago nel padovano (28,2%) e a Valle Aurina nella provincia autonoma di Bolzano (29%).
Confrontando le variazioni statisticamente rilevanti rispetto al 2022 si nota come ci sia stato un significativo incremento delle famiglie con minori in povertà assoluta in cui la persona di riferimento ricopre il ruolo di operaio o assimilato. Si passa infatti da una quota del 15,6% a uno del 19,4% (+3,8 punti percentuali). Viceversa la quota è molto più contenuta in quelle famiglie con bambini in cui la persona di riferimento risulta essere dirigente, quadro o impiegato. Tale dinamica evidenzia in maniera netta come in Italia ci sia un problema molto consistente che riguarda il cosiddetto “lavoro povero”. Si segnala l’incremento dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie all’aumentare del numero di figli a carico. Parliamo in questo caso di coppie con figli. Nel 2023 erano il 6,6% in presenza di un minore. Dato che saliva all’11,6% nel caso di due figli e al 18,8% con 3 o più figli. I dati Istat indicano come molte famiglie risultino sottoccupate rispetto al loro effettivo potenziale. Parliamo di quelle che vengono definite “famiglie a bassa intensità lavorativa“, ovvero nuclei in cui le persone che sarebbero in grado di lavorare – al netto dei componenti che studiano – lo hanno fatto per meno del 20% del loro effettivo potenziale. A livello territoriale il fenomeno, ricostruibile fino a prima dell’emergenza Covid e solo per i comuni oltre 5000 abitanti grazie ai dataset di Istat, mostra un aumento dal 44,1% del 2017 al 48,4% del 2019 nei territori considerati. In questi comuni, la quota di famiglie anagrafiche in condizione di bassa intensità lavorativa è cresciuta di oltre 4 punti. (20 feb - red)
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