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CECCHETTIN: GIULIA
CI CHIEDE DI CAMBIARE

CECCHETTIN: GIULIA <BR> CI CHIEDE DI CAMBIARE

Quando sua sorella Giulia è stata uccisa dal suo ex fidanzato disse “Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto” infiammando le piazze femministe. Ora, intervistata dalla direttrice di Grazia, Silvia Grilli – nel numero domani in edicola, alla vigilia dell’8 marzo -, Elena Cecchettin racconta la difficoltà di accettare che la persona più importante della sua vita non ci sia più ed invita a  cambiare il modo di raccontare non solo i femminicidi, ma tutti i rapporti. “Non è più e non sarà più come prima. Giulia era la persona più importante della mia vita. Una parte di me ci pensa sempre, ma se continuo a pensarci continuamente non riesco ad andare avanti. Dovrò smetterla, ma temo di mancarle di rispetto, non pensando più a lei ogni momento. Giulia vorrebbe che affrontassi la mia vita ricordandola, volendole comunque bene, però non rimanendo impantanata nel lutto. Ma è difficile andare avanti, perché lei era la mia quotidianità, e tutta la mia quotidianità è stata stravolta” racconta. “Parlando con chi per lavoro conosce le dinamiche dei femminicidi molto meglio di me, mi è stato detto: ‘Mettiti il cuore in pace, non c’era niente che avresti potuto fare per impedirlo’. Però io continuo a chiedermi: se invece di fare quella facoltà universitaria e conoscere quella persona avesse scelto un altro corso? Se quella sera non fosse uscita? Accetterei che lei non fosse più parte della mia vita, non vederla mai più, non sentirla mai più pur di sapere che è viva e fa quello che vuole fare. Invece sono impotente. Quindi non è facile da accettare, non tanto per la morte in sé, ma per il tipo di morte”. Riguardo una cultura basta sul patriarcato afferma: “Bisogna fare un lavoro di decostruzione di una mentalità che ci viene inculcata da tutto (società, tv, ogni contesto) e da cui tutti gli uomini traggono vantaggio. Se sei un uomo minimamente corretto vieni considerato buono. Nessuno pensa che, se una donna non è violenta, sia una donna buona. E, quando una donna alza la voce perché le viene mancato di rispetto, diventa automaticamente una pazza, feroce”, “da noi si pretende comunque di accettare e comprendere. Mentre se a un uomo mancano di rispetto, nessuno fa una piega quando reagisce. Gli uomini devono capire che hanno un privilegio. Tutti, anche chi si batte contro la violenza di genere, anche mio padre e mio fratello. Il privilegio non ti rende malvagio, ma devi imparare a usarlo per lottare per chi non ce l’ha. Quando lo si capisce è l’inizio del cambiamento ed è per questo che gli uomini hanno un ruolo fondamentale nella decostruzione di questa società patriarcale”.

“Penso che dal caso di Giulia, a livello di società, ci sia molto da apprendere – aggiunge -. Molto spesso la violenza viene sottovalutata, non si pensa che il violento possa essere chiunque, anche il bravo ragazzo”. Sul ruolo assunto come leader femminista poi commenta: “Quando mi sono fatta coraggio e ho parlato, non pensavo all’impatto che avrei avuto. Credevo fosse un discorso necessario perché non mi piaceva come veniva raccontato il femminicidio di mia sorella. Vivendo nell’ambiente femminista sentivo di dover dire le cose come stavano. Però era un periodo talmente brutto e caotico: avevo perso la mamma, una sorella, c’erano giornalisti sotto casa mia 24 ore su 24, non potevo neanche fare una passeggiata col cane che venivo assaltata, e avevo veramente paura che la mia vita rimanesse così, con le mie priorità (gli esami, l’università) totalmente stravolte. Poi mi sono detta: la situazione è questa, l’accetto, però devo sfruttarla per fare qualcosa e lo dovevo a Giulia, affinché la sua storia venisse narrata in maniera corretta. La narrazione del femminicidio in Italia è sbagliata e non volevo che mia sorella diventasse l’ennesimo caso di cronaca che crea scalpore, poi va nel dimenticatoio perché non si capiscono veramente le ragioni”.  E sulla possibilità della rieducazione dell’assassino di sua sorella dice: “Io non vorrei parlare di Turetta. Faccio un discorso generale. Credo molto nell’educazione, non solo nelle scuole, tra gli adulti. Se dobbiamo aspettare che i ragazzi diventino adulti, troppe donne finirebbero per morire o vivere un’esistenza non in totale libertà. Non possiamo basarci solo sulle scuole, ma anche sulla famiglia. Credo che la nostra società occidentale, quella italiana e il carcere abbiano difficoltà a rieducare. Non possiamo pensare di sbattere una persona in carcere, buttare via la chiave e la persona magicamente esca cambiata”. (6 mar - red)

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