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direttore Paolo Pagliaro

“Nelle tue mani”: a Roma la personale di Matteo Pugliese

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“Nelle tue mani”: a Roma la personale di Matteo Pugliese

La potenza visionaria della Scultura, la sua capacità di incarnare nella Materia l’aspirazione dell’essere umano verso una dimensione superiore, rendendola Arte attraverso il Gesto, sono il tratto distintivo della nuova, intensissima, mostra che Palazzo Merulana ospita dallo scorso 29 marzo fino al 6 luglio. Si intitola “Nelle tue Mani. Gesto, Arte, Materia” la personale dell’artista Matteo Pugliese, che, nelle sale del museo di via Merulana, dà vita a un affascinante percorso con più di cinquanta opere, seguendo una narrazione che si snoda lungo quattro sezioni, espressioni tutte di una ricerca e di una libertà creativa che mai si sottomette alle etichette stilistiche. Sculture che hanno fatto il giro del mondo e che, come l’installazione che dà il titolo alla mostra, in alcuni casi sono esposte per la prima volta in Italia animano il progetto espositivo, firmato da Carmen Sabbatini e realizzato in collaborazione con CoopCulture, che gestisce e valorizza Palazzo Merulana. L’esposizione è realizzata con il patrocinio di Roma Capitale e con il contributo di Zurich Bank, sponsor ufficiale. La mostra nasce da un profondo e pre-esistente legame tra Palazzo Merulana e Matteo Pugliese. Lo scultore milanese, conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero dopo aver esposto in città come New York, Bruxelles, Londra, Anversa, L’Aja, Lugano, Hong Kong, Seoul, Saint Moritz, Barcellona e Roma, è infatti l’autore di una delle opere più amate tra quelle che sono parte della collezione permanente di proprietà della Fondazione Elena e Claudio Cerasi. Si tratta di Gravitas, scultura divenuta iconica, che il pubblico sempre immortala negli scatti rappresentativi della sua esperienza di visita. L’occasione di approfondire questo rapporto arriva adesso, non a caso nel pieno del Giubileo. L’opera che dà il titolo alla mostra, “Nelle tue mani”, è una grande installazione ispirata al Cenacolo di Leonardo da Vinci, custodito a Santa Maria delle Grazie a Milano. Come scrive Giorgio Albertini: “Pugliese, nell’anno giubilare, ci ricorda che il numinale abita nei dettagli della nostra esistenza quotidiana, nelle crepe della nostra realtà…”. Palazzo Merulana, accogliendo questa esposizione, ha voluto così dare il suo ulteriore contributo a una riflessione che coinvolge il museo in primis per la sua posizione strategica, proprio sulla via del pellegrinaggio delle Sette Chiese, in particolare fra le Basiliche di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano. Spiega Letizia Casuccio, direttrice generale di CoopCulture: “Una mostra che combina diversi aspetti in questo anno particolare dedicato al Giubileo, in cui la creazione artistica diventa un mezzo individuale e collettivo di elevazione spirituale, e che valorizza uno degli artisti contemporanei della collezione permanente, come Matteo Pugliese, che mette al centro la figura, il corpo, in una parola l’umanità, e i suoi molteplici significati. Palazzo Merulana supporta, quindi, la ricerca espressiva contemporanea e i suoi maestri, nel segno della figurazione, a cavallo tra passato, presente e futuro”. È un omaggio al genio di Leonardo, come spiega la storica dell’arte Cristina Acidini, presidente dell'Accademia delle arti del disegno: “Un omaggio che, al di fuori d’ogni contingente dimensione celebrativa, diviene esegesi del capolavoro e arricchimento della percezione d'esso, conducendo il nostro sguardo in profondità là dove forse ci saremmo, una volta di più, soffermati in superficie”. Un’opera di grandissimo pathos, la più grande tra quelle in mostra. Pugliese fa dialogare gli apostoli e Cristo, con le loro mani, nel momento in cui Gesù pronuncia le parole: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. I personaggi sono ritratti con una linea essenziale di contorno ma è alle mani, l’unico elemento scultoreo di tutta l’opera, a cui l’artista affida l’enorme carica narrativa ed emotiva delle reazioni all’annuncio del tradimento. La mostra si articola in quattro sezioni distribuite nei vari piani espositivi di Palazzo Merulana, in un proficuo scambio e dialogo con la Collezione Cerasi. Tutte mettono in evidenza una caratteristica della produzione dell’artista, il fatto cioè di non avere un’unica cifra stilistica identificabile in un’etichetta: le sculture sono frutto di un’evoluzione e di una continua ricerca, anche stilistica, nell’atto stesso della creazione dell’opera che prende forma istante per istante, senza basarsi su una fase preliminare di disegni o bozzetti preparatori, a cui Pugliese rinuncia per essere libero nell’atto creativo. L’autore ci invita così a indagare sull'essenza delle figure rappresentate, offrendo spunti di riflessione che spaziano dal mondo antico alle problematiche contemporanee e creando un ponte tra passato e presente. (gci)

“AFRO BURRI CAPOGROSSI”: TRE ARTISTI D’ECCEZIONE ESPOSTI A PERUGIA

Tre artisti d’eccezione a confronto: dal 18 aprile al 6 luglio a Perugia, presso Palazzo della Penna - Centro per le Arti Contemporanee si terrà una mostra, dal titolo “Afro Burri Capogrossi. Alfabeto senza parole”, che metterà a confronto il percorso di tre protagonisti dell’Informale italiano, quali Afro Basaldella (1912-1976), Alberto Burri (1915-1995) e Giuseppe Capogrossi (1900-1972), indagando il passaggio dalla figurazione all’astrazione. L’esposizione, curata da Luca Pietro Nicoletti e Moira Chiavarini, con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, prodotta e organizzata dal Comune di Perugia e Magonza, con la partecipazione della Fondazione Archivio Afro, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Fondazione Archivio Capogrossi, si concentra – attraverso più di cento opere, provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, l’Accademia di Belle Arti di Perugia, le Fondazioni e gli Archivi degli artisti e numerosi prestatori privati – sul momento di svolta stilistica che vide i tre artisti superare le ricerche figurative degli anni Trenta e Quaranta per seguire, nei primi anni Cinquanta, una individualità formale di respiro internazionale. Per l’Assessore alle Politiche culturali del Comune di Perugia Marco Pierini “la mostra, col suo taglio critico innovativo, offre uno spaccato inedito sull’opera dei tre artisti, concentrandosi principalmente sul processo, i tormenti, le sperimentazioni, che li hanno condotti – ciascuno per strade diverse – agli esiti notevolissimi delle loro stagioni più conosciute e celebrate. È una tappa importante per la completa restituzione del Palazzo della Penna alla sua vocazione di Centro per le arti contemporanee, avviata con la mostra dedicata a Dorothea Lange che si è chiusa il 23 marzo con grande successo”. Oltre una concomitanza cronologica delle rispettive conversioni a un linguaggio di segno e materia, ad accomunare “Afro, Burri e Capogrossi” fu la loro presenza attiva a Roma, punto di snodo fondamentale per quelle indagini che li porteranno a indagare i modelli francesi e americani. Roma, infatti, fu luogo di incontri e trampolino di lancio verso la scena internazionale, soprattutto newyorkese, dove le loro ricerche riscossero un significativo successo; Afro, ad esempio, che nel 1950 già si trovava a New York per collaborare con la Catherine Viviano Gallery, passò da una pittura neocubista a una astratta, contraddistinta da un’intensa libertà gestuale, da un uso espressivo e lirico del colore, dalla caratteristica stesura a velature; dal canto suo, Alberto Burri, compie il suo passaggio all’astratto intorno al 1947-48, con opere in cui la materia (legno, ferro, sacchi di juta, pietra pomice, plastica, cellotex e Vinavil) assume rilevanza nello sviluppo di un nuovo alfabeto astratto. Capogrossi, la cui cifra si distingue dalla matericità di Burri per la modulazione del suo “segno” di elementare semplicità in infinite combinazioni, divenne ben presto un protagonista, al punto da essere rappresentato negli Stati Uniti, nel 1955, insieme ad Afro e Burri, alla fondamentale mostra “The New Decade. 22 European Painters and Sculptors”, allestita al MoMA. Una sezione dell’esposizione è riservata alle opere su carta di Afro, Burri e Capogrossi che consentirà di porre l’attenzione sul tema del disegno, che entrando nei meccanismi più intimi dell’elaborazione creativa, lascia emergere i tentativi, le ipotesi e le idee foriere di novità. La mostra intende anche approfondire, attraverso materiali d’archivio – alcuni inediti –, riviste, cataloghi dell’epoca, libri d’artista, l’interesse che critici, poeti e letterati ebbero nei confronti dei tre artisti; esemplari sono i casi di Emilio Villa, Leonardo Sinisgalli e Cesare Brandi. Accompagna l’iniziativa un catalogo Magonza – a cura di Luca Pietro Nicoletti e Alessandro Sarteanesi – che presenta, un saggio di Luca Pietro Nicoletti, una conversazione tra Moira Chiavarini, Tommaso Mozzati e Marcello Barison, due testi di approfondimento di Andrea Cortellessa e Francesca Romana Morelli, e tre schede sugli artisti di Francesco Donola, Mattia Farinola, Gaia Simonetto. (gci)

“IL TEMPO DEL FUTURISMO”: DAL 25 MARZO DUE NUOVI DIPINTI DI SEVERINI E DOTTORI

A circa un mese dalla sua chiusura, il prossimo 27 aprile, la mostra “Il Tempo del Futurismo”, in corso alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, si arricchisce di due nuove opere provenienti da due prestigiose collezioni private romane. Si tratta di Danseuse (Ballerina in blue) di Gino Severini (1913) e Saltatore con l’asta di Gerardo Dottori (1934). In linea con i concetti di divenire e trasformazione alla base del movimento futurista, l’esposizione, che ha superato 125.000 visitatori, si rinnova dunque ancora una volta, dopo il recente arrivo in mostra di tre capolavori museali come lo studio de La città che sale (1910) di Umberto Boccioni, Ritmi di oggetti (1911) di Carlo Carrà e Profumo (1910) di Luigi Russolo. Le nuove opere sono state raramente viste ed esposte al pubblico. La prima, Danseuse (olio su tela, cm.61x50), in cui è evidente il rapporto con il cubismo, focalizza uno dei temi centrali della ricerca di Severini: il movimento drammatico e dinamico della figura danzante. Durante la giovinezza trascorsa a Parigi, l'artista aveva sperimentato in prima persona l'atmosfera inebriante del mondo della danza, nei caffè, nelle sale da ballo e nei cabaret della città pulsante di vita. Attraverso queste esperienze, Severini si era reso conto che il dinamismo e l'energia del mondo moderno si manifestavano non solo nelle innovazioni tecnologiche e meccaniche, ma anche nelle evoluzioni frenetiche del corpo umano in movimento, impegnato nelle nuove danze allora alla moda. La seconda, Saltatore con l’asta (tempera su tavola, cm.101,5x155,5) di Dottori, esalta invece la forza dinamica e l’energia elastica di un atleta che sembra idealmente competere con il volo di alcuni aerei, in alto, e lo sfrecciare di una macchina, in basso, il tutto sullo sfondo di uno stadio. È senza dubbio una delle opere più coinvolgenti fra quelle dedicate dall’artista allo sport e sembra esemplificare quanto scriveva in quegli stessi anni il poeta Raniero Nicolai, cantore e cultore delle discipline sportive: dipingere “lo slancio ideale dovuto all’ansia di raggiungere traguardi apparentemente irraggiungibili nella lotta dell’uomo contro la forza di gravità e contro il tempo”. La mostra “Il Tempo del Futurismo”, presentata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, è promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura e curata da Gabriele Simongini. La mostra celebra l’ottantesimo anniversario dalla scomparsa del fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, avvenuta il 2 dicembre 1944, esponendo circa 350 opere d’arte oltre a centocinquanta oggetti, tra cui arredi, film, libri e manifesti, insieme con un idrovolante, automobili, motociclette e strumenti scientifici d’epoca, con un’attenzione particolare alla matrice letteraria del movimento marinettiano. Per far immergere il visitatore nell’atmosfera futurista, l’esposizione è arricchita da due installazioni site specific di Magister Art e di Lorenzo Marini ed è vivacizzata da eventi di approfondimento. (gci)

A FIRENZE L’ESPOSIZIONE SU ROBERTO LONGHI E ANNA BANTI

“Caravaggio e il Novecento. Roberto Longhi, Anna Banti”, dallo scorso 27 marzo fino al 20 luglio a Villa Bardini a Firenze, a cura di Cristina Acidini e Claudio Paolini, è un affascinante viaggio alla riscoperta di una coppia - lui storico dell'arte, lei scrittrice e traduttrice - che riunì un cenacolo di artisti e intellettuali che hanno plasmato il ‘900 italiano e non solo. La mostra viene proposta dalla Fondazione CR Firenze in collaborazione con la Fondazione Longhi in quel magico luogo (che da solo varrebbe un viaggio) che è Villa Bardini e di essa la mostra occupa tutti gli ambienti, densissima com'è di materiali, molti dei quali inediti e preziosissimi. Il percorso, non a caso, prevede anche una Silent Room dove riposare gli occhi e la mente travolti dalle suggestioni e dagli stimoli offerti nelle 12 sale in cui si dipana il percorso espositivo. Volendo si può anche passeggiare all'esterno nel magnifico parco storico della villa popolato di essenze antiche come il colossale glicine, tra i più antichi del continente, la cui fioritura richiama ogni primavera migliaia di appassionati. Una mostra fortemente esperienziale quindi, per ammirare capolavori come “Ragazzo morso da un ramarro” di Caravaggio, gli “Apostoli” di Jusepe de Ribera o l’emozionante sequenza di 10 Morandi intimi, creati dall'artista bolognese, regalati in occasioni diverse a Roberto Longhi e alla fortunata padrona di casa. La mostra, oltre a essi riunisce 40 dipinti, tra disegni e acquarelli, nuclei rilevanti di fotografie originali e di documenti d’archivio che testimoniano la frequentazione della coppia con Ungaretti, Bassani, Pratolini, Gadda, Pea, Bigongiari, Pasolini, tra i molti amici letterati e scrittori, o con de Pisis, Socrate, Guttuso, Mafai, oltre al già citato Morandi, tra i tanti artisti. In queste stanze è stata “rivoluzionata” la storia dell’arte, con la riscoperta del nostro Seicento, grazie al lavoro di Longhi su Caravaggio e altri, e di Lucia Lopresti, che, come nome de plume, aveva assunto quello di Anna Banti, su Artemisia. Memorabile la mostra che nel 1951 a Palazzo Reale di Milano, Longhi dedicò a Caravaggio, accendendo i riflettori su un pittore caduto nell’oblio. Fu un successo storico, sancito da più di 400 mila visitatori. Entrambi erano impegnati nella ricerca quanto nella divulgazione. Con loro, la storia dell’arte va oltre l’ambito degli addetti ai lavori per farsi racconto sociale. Entrambi hanno consuetudine con i settimanali popolari, con la televisione, la radio. In mostra il pubblico potrà osservare la capacità divulgativa di Longhi in due documentari, l’uno su Carpaccio, su Carrà il secondo. Entrambi investirono sui giovani, e questa è ancora oggi la mission della Fondazione Longhi da loro creata e che ha sede a Firenze in Villa Il Tasso. Qui si sono formate generazioni di storici dell’arte che hanno ancora in Roberto Longhi il loro punto di riferimento ideale. La mostra “Caravaggio e il Novecento. Roberto Longhi, Anna Banti” è il frutto della collaborazione tra la Fondazione CR Firenze e la Fondazione Roberto Longhi. Le due istituzioni intendono così celebrare il ruolo centrale di Longhi e Banti nella cultura del Novecento e la fitta rete di rapporti tra le maggiori personalità della cultura italiana del Novecento. L’esposizione offre una narrazione unica che unisce opere d’arte, documenti d’archivio e contributi multimediali, valorizzando il patrimonio della Fondazione Roberto Longhi. (red)

ALLA SCOPERTA DELL’ARTE DI DIEGO GUALANDRIS A MILANO

Studio Pesca a Milano ospiterà dallo scorso 26 marzo fino al 13 giugno la mostra personale di Diego Gualandris “Canzoni per animali d'appartamento”. L’esposizione è il secondo appuntamento (chapter II) di the time it takes, un ciclo di mostre avviato a gennaio 2025 a cura di Arianna Pavoncello e Carolina Latour, che esplora il rapporto tra il tempo, la creatività e la complessità della produzione artistica contemporanea. In un’epoca dove la velocità domina ogni scelta, il tempo dedicato alla ricerca e alla progettualità diventa un atto di resistenza. Il progetto the time it takes avvia una riflessione sulla percezione e gestione del tempo nel lavoro e nella ricerca delle artiste e degli artisti rispetto alle sollecitazioni della società di oggi. Dopo la mostra personale di Federika Fumarola “Recupero di un tempo di osservazione perduto” (chapter I), visitabile fino al 23 marzo, Spazio Pesca, base logistica dello Studio, riconfermandosi luogo di riflessione e sperimentazione dove esplorare nuovi linguaggi tra arte e creatività, ospita le opere di Diego Gualandris, che attraverso tecniche e materiali pittorici sperimenta superfici inusuali, creando mondi fantastici che intrecciano mitologia, letteratura e psichedelia. “Quadri di piccolo formato, quadri d’appartamento, entrano in un luogo che non gli appartiene, tra sconosciuti, e come telecamere accese, apparentemente innocui, rovistano nelle vite degli altri osservandoli - affermano le curatrici Arianna Pavoncello e Carolina Latour - Una moltitudine di piccoli occhi pulsanti scruta il visitatore. Come animali appostati, costringono lo spettatore a prendere le misure per avvicinarli, a muoversi piano ma tenendo lo sguardo fisso su di loro”. La ricerca di Diego Gualandris include la scrittura di storie e favole, popolate dalle stesse creature fantastiche che abitano l’immaginario da cui emergono i suoi dipinti. In mostra due serie dell’artista che hanno come soggetto il sole, un elemento che Gualandris elabora in questa mostra non considerandolo nella sua simbologia ultraterrena e mistica, ma riportandolo alla condizione di essere vivente, di animale e interessandosi prevalentemente ai suoi passaggi di stato e di età. Nella serie “Il sole da giovane”, piccoli dipinti a olio su tavola trovano nei confini imposti dalla cornice la sensazione rassicurante di contenere un pezzo di universo. Questi lavori comunicano la loro autonomia, identificativi di un tempo circolare che si risolve e continuamente riparte. Il sole è nella sua adolescenza, nel pieno della sua potenza, ma tra sei o sette miliardi di anni morirà, come tutti gli esseri viventi. Timidamente questi soli sembrano cercare il loro spazio tra il diradarsi dell’atmosfera, pulsando di un’energia potente, adolescenziale, e per questo anche inconsapevole e incerta. Lingue di fuoco protendono all’esterno come tentacoli, contenendo nella loro stessa forma l’allusione a qualcosa di biologico, alla potenza della vita nell’aspetto di un fiore o di un virus. Diversamente, la seconda serie presentata per la prima volta in questa mostra, riflette un tempo lineare dove i soli, nella loro fase adulta, sono collocati su una linea immaginaria di orizzonte da cui nascono infiniti mondi. Un paesaggio desertico è debolmente illuminato da un sole nell’atto di sorgere o tramontare. Un’icona sacra contemporanea in cui l’artista si è imbattuto casualmente: la copertina del Vangelo e Atti degli Apostoli dell’edizione San Paolo, una tra le versioni più diffuse fin dagli anni Settanta. Un’immagine così capillarmente diffusa e culturalmente interiorizzata da risvegliare ricordi d’infanzia. Un paesaggio sintetizzato di una Palestina antica e immaginaria che Diego Gualandris declina in una sorta di ciclo fantasy-pittorico con ispirazioni tratte dal film d’animazione “Fantasia” di Walt Disney, dall’ambientazione del romanzo “Dune” o del pianeta desertico Tatooine di Star Wars. Appropriandosi dell’oggetto, Gualandris trasforma, estende e declina ossessivamente la potente semplicità dell’immagine terra-sole-cielo in uno e cento altri mondi che l’osservatore può attraversare. Un’astrazione mentale che permette all’artista di abitare, e far abitare, momentaneamente mondi fantastici ereditati dalla cultura fantasy, vera e propria mitologia contemporanea. (gci)

NELLA FOTO. Nelle tue mani_PH: Luigi Spina (DETTAGLIO)

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