La politica italiana è ben lontana dall’essere un luogo i cui uomini e donne hanno lo stesso peso. Storicamente in tutte le assemblee di rappresentanza la quantità di donne, e la qualità dei loro incarichi, è sempre stata inferiore rispetto agli uomini. Un dato di fatto, che ancora oggi continua ad essere una realtà. Solo il 14% dei sindaci italiani sono di sesso femminile e solamente 2 delle 21 tra regioni e province autonome sono guidate da donne. Lo si evince da uno studio pubblicato oggi da OpenPolis. Anche nell’attuale esecutivo la situazione non è migliore. Considerando anche sottosegretari e viceministri, gli uomini rappresentano oltre l’80% della squadra di governo, dato più basso dal governo Letta ad oggi. Openpolis ricorda che proprio per colmare in qualche modo questo gap, ormai dal 2004 sono state approvate una serie di leggi per "correggere" la situazione, inserendo dei meccanismi che favorissero la parità di genere, quantomeno negli organi elettivi. Ogni ambito territoriale, dai comuni alle regioni passando per il parlamento nazionale e quello europeo, è stato coinvolto da qualche tipo di riforma. Analizzando i dati dello "Studio e valutazione dell’impatto delle misure di riequilibrio di genere previste dalla legislazione vigente in materia di cariche elettive e di governo" del Cnr con la Presidente del consiglio, e incrociandoli con i dati openpolis sulla rappresentanza politica, possiamo vedere come e quanto queste leggi abbiano avuto effetto. L’ambito in cui è possibile portare avanti il maggior numero di considerazioni è sicuramente quello dei comuni italiani. La legge 215 del 2012 ha infatti introdotto una serie di misure con il chiaro scopo di favorire l’equilibrio di genere negli organi di rappresentanza politica. In particolare sono stati coinvolti dalla normativa tutti i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti. I correttivi introdotti sono stati le quote di lista e la doppia preferenza di genere. Fino all'approvazione della legge la situazione di disparità era evidente, sia analizzando i dati dei candidati che quello degli eletti. Dal 2009 al 2012 la percentuale di uomini tra i candidati era costantemente oltre il 70%, raggiungendo un picco notevole nel 2010, quando 1 solo candidato su 4 era donna. Solo con il primo anno di applicazione della legge (nel 2013) le donne hanno superato il 30% di rappresentanza nelle liste dei candidati, segnando quindi un forte cambio di passo. Tra il 2009 e il 2016 la percentuale di donne tra i candidati alle elezioni comunali è aumentata del 26,84%. Il cambio di passo dall'introduzione della legge è evidente, considerando che dal 2014 la percentuale di donne tra i candidati è stabilmente sopra quota 34%. Le dinamiche territoriali da questo punto di vista però segnano molte differenze nelle diverse aree del paese. Mentre alcune regioni avevano percentuali di donne candidate alle elezioni comunali che superavano il 30% già nel 2009 (vedi Toscana ed Emilia-Romagna), altre hanno a malapena raggiunto questa percentuale nel 2016, come Abruzzo, Calabria e Molise. È proprio nei comuni di Toscana ed Emilia-Romagna che si è registrato il dato più importante, quando nel 2016 oltre il 40% dei candidati erano donne. Fino al 2012 le donne rappresentavano circa il 20% dei consiglieri comunali eletti nel nostro paese. Con l’approvazione della legge il balzo in avanti è stato notevole, anche se comunque la via per la piena parità di genere appare molto distante. Nel 2016, ultimo anno preso in considerazione, le donne elette erano il 30,40%, con un balzo del 40% rispetto al 2009. Questi dati prendono in considerazione tutti i comuni italiani, anche quelli con meno di 5.000 abitanti e quindi non coinvolti direttamente dalla normativa. Nonostante i passi in avanti siano stati tanti, nei consigli comunali di 11 regioni su 20 gli uomini continuano a rappresentare oltre il 70% degli eletti. Un motivo di questa continua disparità può essere compresso analizzando l'indice di successo di uomini e donne. Il dato, elaborato nello studio del Dri e Cnr-Irpps, mette in relazione la percentuale di elette con la percentuale di candidate. Quando il dato è 1, vuol dire che abbiamo una perfetta corrispondenza tra la quota di elette rispetto alla quota di candidate. Dal 2009 ad oggi il dato per gli uomini è costantemente sopra il valore di 1, questo vuol dire che la percentuale di uomini eletti ha sempre superato la percentuale di uomini candidati. Nel 2016, come nel 2009, il valore è allo 1,08, evidenziando una grande facilità per gli uomini a essere eletti. Lo stesso non si può dire per le donne, il cui indice, pur in parziale crescita, non ha mai superato lo 0,88. Nonostante il balzo nel 2012 dovuto alla legge sulla doppia preferenza di genere, la piena corrispondenza tra percentuale di candidate e percentuale di elette non è ancora stata raggiunta, segnando in questo la prima grande differenza tra uomini e donne.
(PO / Sis)
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