di Paolo Pagliaro
Un decreto del ministero dell’Economia ha riportato in vita il redditometro, quel meccanismo che dovrebbe servire a comparare le spese di una famiglia con il suo reddito dichiarato, e a segnalare eventuali incongruenze quando i due valori non sono compatibili. Un modo per approfondire la situazione fiscale di chi dichiarandosi indigente non paga la mensa ma la mattina accompagna i figli a scuola con il Suv. Di chi vive nel lusso e non paga le tasse.
Il redditometro era di fatto scomparso nel 2019, quando gli accertamenti furono soltanto 1.850 . Poca cosa rispetto al 2012, quando l’Agenzia delle Entrare aveva fatto ricorso al redditometro per verificare la fedeltà fiscale di 37 mila contribuenti. Ma in quell’anno vi furono feroci polemiche per i controlli della Guardia di Finanza a Cortina d’Ampezzo e lì cominciò il declino del redditometro, che fu oggetto di una vera e propria campagna denigratoria, orchestrata in nome di sacri principi come il diritto alla privacy e la presunzione di innocenza. In realtà cancellando il redditometro il fisco in realtà si arrese ai contribuenti che dichiaravano redditi assolutamente irrisori rispetto al tenore di vita e ai beni posseduti.
Ora il Dipartimento delle Finanze ha ravviato una consultazione pubblica per acquisire valutazioni, osservazioni e suggerimenti per il ritorno in piena attività del redditometro. Il partito trasversale degli evasori tornerà a tuonare contro la dittatura fiscale, ma è evidente che per lo Stato di diritto si tratta invece di legittima difesa.
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