di Paolo Pagliaro
Dal 10 settembre è vietato pubblicare sondaggi sull’esito delle elezioni. Il divieto, - detto anche blak out, come se venisse a mancare improvvisamente la luce - fu introdotto nel 1997 per impedire che negli ultimi giorni prima del voto i sondaggi fossero usati come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Era ancora fresco il ricordo di quanto accaduto nella campagna elettorale di tre anni prima, quando il sondaggista di fiducia di Berlusconi, Gianni Pilo, egli stesso aspirante deputato, aveva prodotto numerosi sondaggi con stime altissime per Forza Italia, diverse da tutti gli altri istituti. Ripensando a quei giorni il professor Lorenzo De Sio, presidente del Centro Italiano di Studi Elettorali, dice che l’intento era probabilmente quello di far percepire agli elettori la neonata Forza Italia come un partito già numericamente grande, di successo, e quindi “votabile” senza timore di sprecare il voto.
In questi 25 anni molte volte è stata chiesta l’abolizione del blackout, con l’argomento che i cittadini non vanno trattati come scolaretti facilmente influenzabili. Ma il divieto permane, per le ragioni che spiega oggi Rino Falcone sulla rivista “Scienza in rete”. Diffondere la convinzione di un’elezione di fatto segnata e definitivamente chiusa dal punto di vista dell’esito finale è il classico fenomeno, studiato in psicologia sociale, della "profezia che si autoavvera". L’influenza dei sondaggi sulle scelte elettorali degli indecisi è attestata da numerose pubblicazioni scientifiche., che si soffermano in particolare sul cosiddetto effetto bandwagon, effetto carrozzone, secondo il quale la maggior parte delle persone tende a uniformarsi alle opinioni della maggioranza. Se senza sondaggi gli umori degli elettori sono destinati cambiare, lo sapremo tra 15 giorni.
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