“Sin dall'inizio sembrava non reggere il racconto del ragazzo. Fortunatamente stragi così gravi capitano raramente. Anche in casi in cui non è stato portato a compimento il progetto omicidiario sappiamo che queste vicende hanno a che fare con ciò che accade all'interno della famiglia. Ognuna di esse ha delle caratteristiche uniche e specifiche che difficilmente si possono generalizzare”, “posso solo dire che spesso non sono premeditate e strutturate”. Così Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione "Minotauro" di Milano, in una intervista parla della strage famigliare di Paderno Dugnano in cui un 17enne ha confessato di aver ucciso con un coltello da cucina il padre Fabio Chiaroni, 51enne, imprenditore edile, la madre Daniela Albano, 49enne ed il fratellino di 12 anni. “Sempre più spesso i fatti di cronaca e il lavoro quotidiano che facciamo anche al centro Minotauro ci restituiscono un quadro di ragazzi che faticano enormemente a esprimere gli aspetti emotivi, i conflitti e i sentimenti più disturbanti relativi al proprio contesto familiare e amicale in qualche cosa che diventi simbolo, parola e condivisione. La relazione viene annullata e si ricorre al gesto disperato”. Dai primi riscontri sembra che il 17enne non avesse problemi di natura psichica o di tossicodipendenza… “Bisogna attendere le perizie e tutti gli accertamenti della procura e del tribunale minorile. Senza dubbio ci troviamo davanti a un disagio e un dolore mentale che, però, non necessariamente possiamo subito attribuire a una psicopatologia”. Evidenzia poi che “l'uso da armi da taglio tra i giovani è sempre più diffuso. Anche in età anticipata e tra ragazzi provenienti da contesti socio-economici non svantaggiati, come nella vicenda di specie, che regolano le vicende emotive attraverso l'utilizzo di quest'arma. Il ragazzo ha agito con gesto particolarmente violento e ripetuto. Prima contro un bambino di 12 anni e poi contro una madre e un padre».
E conclude: “L'unica risposta, che spesso non piace agli adulti, ma che possiamo trarre da queste vicende è che non dobbiamo mai smettere di dare voce alle emozioni anche più disturbanti che hanno i ragazzi”, “dobbiamo trasformare questa terribile vicenda in un'occasione di sviluppo, crescita e possibilità di mettere in parola. Quando si consente a un adolescente di verbalizzare il proprio stato d'animo non vuol dire che gli si dà ragione solo perché lo si ascolta. Vuol dire gli si dà legittimità di parola e di pensiero, qualunque esso sia”, “si parla da anni di una psicologia strutturata a scuola. Serve una figura di psicologo di comunità e di integrazione che collabora alla creazione di una comunità di ascolto che comprenda anche genitori e insegnanti”. (2 set - red)
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