Il regista Gabriele Muccino, all'indomani dell'intervento di Nanni Moretti a Venezia sulla “nuova pessima legge sul cinema”, ha pubblicato un lungo post su Instagram in cui definisce la stessa legge “pretestuosa, confusa, incompleta e cavillosa”. “Volevo farlo da un paio di giorni, poi Moretti ha aperto la strada e mi sono detto ‘Va bene. Andiamo’” spiega in una intervista a La Stampa. Perché si è esposto solo Moretti finora? “Perché questo governo porta moltissimi artisti e liberi pensatori all'autocensura, abbiamo visto troppe epurazioni di persone scomode, prima di parlare ci si pensa due volte. Io non ho timori: se non mi facessero più fare film in Italia, andrei a Parigi, in Spagna o in Grecia. Ma le troupe non sarebbero italiane”. Cosa non va in questa legge? “Fondamentalmente sopra una certa cifra - troppo incongruente, visto quello che prendono attori e autori affermati - limita fortemente l'accesso al tax credit per tutto ciò che nel budget è indicato come ‘sopra la linea’ (i costi degli autori, registi e attori, ndr). In pratica con quel tetto lì, se dovessi fare un film in Italia con attori americani, i produttori potrebbero scaricare in Italia ben poco del loro compenso, il che comporterebbe andare a girare il film altrove in Europa, con tutti i vantaggi che c'erano in Italia fino a un anno fa”, “basterebbe migliorare la legge Francechini: il 40% del tax credit era molto invitante, in Spagna sono arrivati al 50%, non c'è paese europeo - dalla Grecia all'Ungheria - che non abbia copiato quella struttura di finanziamento perché il ritorno era esponenzialmente maggiore dell'investimento”. E spiega che anche nella legge di Franceschini c'erano delle falle: “Era troppo larga la manica di attribuzione del tax credit a produttori ‘parvenu’ che accedevano ai fondi senza avere a cuore l'esito del film, ma solo il maxi ricavo. In altre parole al film lasciavano una minima quota, il resto se lo intascavano. Per questi dieci ladri di galline - i soliti furbetti che arrivano ovunque giri il denaro - hanno deciso di punire l'intero settore. Compresi i cineasti con passione e prestigio internazionale, come dimostrano i premi che continuiamo a ricevere nei festival”, “Sangiuliano si è dimostrato un uomo dalle piccole qualità, in ogni espressione che toccasse l'arte e la cultura, di cui il nostro Paese è da secoli il maggior produttore al mondo. L'ha gestita calpestando tutto con arroganza. Da un'occupazione altissima - non si erano mai visti così tanti set come negli ultimi quattro anni, le major americane si erano trasferite in Italia - a una disoccupazione altissima. Oggi le grandi produzioni scelgono di andare in altri Paesi - penso a Uma Thurman che ha dovuto finire di girare il suo film iniziato a Cinecittà in Canada - ed è un grande danno a tutta la filiera italiana e tutti coloro che ci lavorano, e sono tanti”. E conclude: “Ci tengo a mantenermi super partes e dialogare con Giuli, e con il governo Meloni, senza essere a priori etichettato come antitetico ideologicamente, perché sono sempre stato fuori dai salotti e dalle dinamiche di partito. E perché solo così si costruiscono i ponti, il cinema va salvato”. (9 set - red)
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