Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

A Roma l’arte di Anna Maria Fabriani

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

A Roma l’arte di Anna Maria Fabriani

Palazzo Merulana a Roma, custode di numerosi capolavori della Scuola Romana appartenenti alla Collezione Cerasi, continua insieme a CoopCulture la sua attenta opera di indagine e di valorizzazione di uno dei momenti più interessanti e vitali dell’arte italiana del ‘900 accogliendo, dallo scorso 5 settembre fino al 6 ottobre, la mostra “Anna Maria Fabriani. Riverberi e trame dalla Scuola Romana” a cura di Sabina Ambrogi, con testo critico di Giulia Ambrogi. Per pubblico e critica si tratterà di un’occasione, da un lato, di scoprire il tratto e l’eleganza della ricchissima produzione di un’artista formatasi all’Accademia delle Belle Arti alla fine degli anni ’40 e allieva di Carlo Socrate, che della Scuola Romana fu uno dei massimi esponenti; dall’altro di approfondire la conoscenza di un periodo storico-sociale, quello dell’Italia del Secondo dopoguerra, in cui Fabriani, come forse molte donne dell’epoca, ha coltivato tra le mura domestiche il proprio talento artistico quasi autocensurandosi, senza mai pensare di “essere all’altezza” di rivelarsi al mondo. È, dunque, la prima volta che viene esposta una selezione del lavoro di Anna Maria Fabriani. Ed è una prima volta resa ancora più preziosa ed emozionante dalla sua età, 100 anni, compiuti alla fine dello scorso giugno. La mostra, frutto di prestiti di privati o di opere appartenenti alla famiglia, inizia dal primo ritratto a Maria Magris, madre della pittrice, databile intorno alla fine degli anni ’40, e giunge fino alla natura morta Limoni e bottiglia di amaro, eseguita nel 2018, cioè fino a quando la pittrice è riuscita a stare in piedi di fronte al cavalletto. L’intera esposizione è frutto di un lavoro di ricerca, recupero e catalogazione, iniziato diversi anni fa, da parte della curatrice. I restauri sono a cura di Cristiana Noci che ha letteralmente riportato alla luce alcune opere come Rosetta (1953) il pezzo più pregiato della collezione, insieme a Grigio su grigio (1958). Dal maestro Fabriani ha preso forse anche la stessa “sofferta timidezza”, come aveva tratteggiato il pittore e critico d’arte Efisio Oppo nelle cronache che ne descrivevano le attitudini. Una predisposizione morale che sembra accompagnare anche la produzione della stessa pittrice: capitava che, dopo aver dipinto, grattasse il colore dalla tela con la lametta per poi ricominciare il giorno dopo, ripetendo l’operazione anche per un mese di seguito, fino a trovare il giusto equilibrio. Metodi e percezioni, visioni e composizioni che contribuiscono alla creazione di un tempo sospeso che accompagna le sue opere. Trapela, così, a volte, un’inquietudine latente, quasi un disturbo, anche in soggetti implicitamente rasserenanti di fiori come L'urlo, e frutta La metafisica dei limoni, nella rappresentazioni di azioni misteriose e piene di suspense - Girando l’angolo -, perfino nell’esplosione dei petali delle Peonie di Lella in cui il rosa interno è una specie di rivelazione. La produzione artistica di Fabriani si divide in due fasi. La prima inizia verso la fine degli Anni ‘40 e si interrompe negli Anni ‘70. La seconda risale al 1997, subito dopo la morte del marito Silvano Ambrogi, e dura fino al 2018. Interruzione di un'attività e di un ragionamento artistico capace, tuttavia, di ripartire arricchito da nuove visioni contemporanee. Persino di inquadrature cinematografiche come per lo Scorfano, Colazione in Calabria, oppure con Campo e Controcampo a Migliarino, due dipinti concepiti proprio come due fotogrammi di un film e oggetto di una stessa visione. Circa una decina di dipinti eseguiti sono ancora oggetto di ricerca. Sono andati perduti in Venezuela al porto di Caracas La Guayra dopo una spedizione in nave in una cassa, nel 1959. Il fratello dell’artista, Maurizio Fabriani, destinatario della spedizione, dirigeva cantieri per le costruzioni delle strade nel cuore del paese in zone molto impervie a più di venti ore di macchina dalla capitale venezuelana. Non ha fatto in tempo a tornare per recuperarli. O si è forse perso il tempo utile per farlo. La mostra è un’occasione per lanciare “un messaggio nella bottiglia” e chiedere a chi li avesse di farsi avanti per poterli catalogare ed esporre. (gci)

A MILANO L’INSTALLAZIONE “EUNOE’” DI CLARICE CALVO-PINSOLLE

Fondazione Elpis e Threes presentano dal 25 settembre al 13 ottobre l'installazione audio/visiva a Milano “Eunoè” dell’artista francese Clarice Calvo-Pinsolle, nuovo episodio di Basement, uno spazio dedicato alla sperimentazione artistica attraverso installazioni e interventi sonori ospitate nei sotterranei di Fondazione Elpis. L’iniziativa è frutto di una collaborazione continuativa tra Fondazione Elpis e Threes, consolidata nell’ambito del progetto Una Boccata d'Arte. In questo contesto, Threes ha apportato il suo contributo nel corso degli anni attraverso progetti incentrati sulla sperimentazione sonora. Con Basement, l’obiettivo è di portare avanti l’indagine su questi linguaggi negli spazi della Fondazione. Dopo il successo del primo episodio con l’installazione audio/video Fools Circle 9wys dell’artista italiano VISIO, Fondazione Elpis e Threes continuano la volontà comune di indagare pratiche di sperimentazione sonora e visiva, dando spazio a giovani artisti italiani e internazionali. “Eunoè” è un'installazione immersiva che avvolge i visitatori in un'esperienza sonora e visiva, mirata a ricreare legami profondi con il proprio passato. Ispirata alla fantascienza, quest'opera nasce da un dialogo interdisciplinare tra arte, terapia e neuroscienza, frutto degli scambi tra Clarice Calvo-Pinsolle, terapeuti e neuroscienziati. La composizione di “Eunoé” si fonda sulla spazializzazione del suono, creando un ambiente dinamico in cui i visitatori sono trascinati dai movimenti sonori che li circondano. Questo effetto avvolgente è accentuato dalle sculture di vetro che, ondeggiando al ritmo dell'acqua, offrono una danza visiva in sincronia con il paesaggio sonoro. Le sculture, delicate e trasparenti, riflettono la luce e creano giochi di riflessi che amplificano la sensazione di essere immersi in un mondo onirico e fantascientifico. “Eunoé” non è solo un’opera da osservare, ma un’esperienza da vivere. Invita i visitatori a lasciarsi trasportare dai ricordi e dalle emozioni, a esplorare i legami nascosti tra il presente e il passato, e a riscoprire il potere evocativo del suono e della materia. In questo spazio ibrido e multisensoriale, Calvo-Pinsolle ci offre un'opportunità unica di introspezione e connessione, trasformando il percorso espositivo in un viaggio interiore senza tempo. Parte della pratica artistica di Clarice Calvo-Pinsolle nasce dal desiderio di riflettere sulla trasmissione e la salvaguardia dei ricordi attraverso il suono. Si tratta di un'indagine aperta all'incrocio tra suono e pratica scultorea. Calvo-Pinsolle crea installazioni che mettono in discussione sia lo spazio espositivo sia i meccanismi di percezione dello spettatore. Il suo obiettivo è quello di rivelare le qualità sonore degli oggetti utilizzati per operare una diversione contestuale e creare nuovi soggetti ibridi che costruiscano un ambiente favorevole all'ascolto. Le registrazioni sul campo sono il mezzo più potente per Calvo-Pinsolle per ricordare i luoghi che visita. Si paragona al Sound-Sweeper di Ballard, che aspira i suoni per creare paesaggi sonori ispirati sia alla letteratura di fantascienza che alla musica industriale. In precedenza, colleziona oggetti per la loro composizione materiale, la loro forma e la loro risonanza, da usare come filtri sonori che influenzano direttamente le composizioni che crea. Queste installazioni, costantemente in bilico tra suoni e oggetti, diventano rappresentazioni del campo uditivo ed estensioni del corpo umano. Spesso guidano la posizione di ascolto dello spettatore. Clarice è un'artista francese. È nata a Bayonne, nei Paesi Baschi, e ora vive a Bruxelles. Parte della sua pratica artistica nasce dal desiderio di riflettere sulla trasmissione e la salvaguardia dei ricordi attraverso il suono. Si tratta di un'indagine aperta all'incrocio tra pratica sonora e scultorea. Crea installazioni che mettono in discussione sia lo spazio espositivo sia i meccanismi di percezione dello spettatore. Le registrazioni sul campo sono per lei il mezzo più potente per ricordare i luoghi che visita. Utilizza questi materiali per comporre i suoi paesaggi sonori. Ha anche un progetto musicale chiamato “Lamina”. (gci)

“VOLSINIO CAPTO”: LE OPERE RACCONTANO LA CITTA’ ETRUSCA DI VELZNA

Il 7 settembre a Orvieto è stata inaugurata la mostra “Volsinio capto. 265-264 a.C.”, all’interno degli spazi del Museo Etrusco “Claudio Faina”, dedicata a un episodio centrale nella storia dell’Etruria: la conquista di Velzna (Volsinii, in lingua latina), l’odierna Orvieto, l’ultima città-stato etrusca a cadere in mano romana (negli anni 265-264 a.C.). L’esposizione, organizzata dalla Fondazione per il Museo “Claudio Faina” in collaborazione con Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e visitabile fino all’8 dicembre, espone due importanti opere provenienti dalle collezioni dei Musei Civici di Roma Capitale. Perno della mostra è la base del donario in peperino, testimonianza storica di eccezionale importanza, rinvenuta nell’area sacra di Sant’Omobono a Roma, alle pendici del Campidoglio, che riporta l’iscrizione con cui il console Marco Fulvio Flacco celebrò la conquista di Velzna, uno degli interventi più duri effettuati da Roma all’interno della penisola italiana. Esposto da pochi anni ai Musei Capitolini/Centrale Montemartini dopo una lunga giacenza in deposito, è solamente la seconda volta che il donario di Flacco figura in una mostra, testimoniando il recente impegno della Sovrintendenza Capitolina nell’offrire quanto più possibile alla pubblica fruizione il patrimonio nascosto dei propri musei. In mostra anche una splendida testa femminile in pietra lavica, in origine proveniente da Orvieto, oggi conservata al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco di Roma, caratterizzata dall’intensa espressione patetica che anima il volto, incorniciato da una complessa pettinatura con nastri e fermagli, da pendenti alle orecchie e da un girocollo. La scultura, realizzata pochi decenni prima della presa di Volsinii, ornava con ogni probabilità una delle porte della città etrusca. “Il rapporto tra Roma e Orvieto, cruento e feroce nel loro ultimo contatto nell’antichità, è ora invece legame di cultura e di conoscenza - dichiara il Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce - Con la mostra ‘Volsinio capto. 265-264 a.C.’ si racconta un momento fondamentale della storia della città umbra e una testimonianza indelebile della caducità della forza militare, che è in grado di resistere soltanto fino allo scontro con una potenza più grande, più attrezzata o più abile”. Il catalogo, a cura di Giuseppe M. Della Fina, è pubblicato da Palombi Editore. I testi scientifici sono a firma di Claudio Parisi Presicce, Monica Ceci, Francesca de Caprariis, Anna Maria Rossetti e del curatore. (gci)

PROROGATA AL 26 GENNAIO 2025 “GIUSEPPE PRIMOLI E IL FASCINO DELL’ORIENTE”

La mostra “Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente”, ospitata al Museo Napoleonico di Roma e la cui chiusura era prevista l’8 settembre, è prorogata fino al 26 gennaio 2025. Chi non l’avesse ancora fatto, o desiderasse replicare l’esperienza, può cogliere l’occasione per scoprire la raccolta di disegni, incisioni, porcellane, quadri, fotografie d’epoca, diari, lettere, souvenir e altri “memorabilia” della più varia provenienza, dal Giappone alla Cina, dall’Egitto all’India, che testimoniano la passione per le diverse civiltà orientali coltivata tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dal conte Giuseppe Primoli e dai suoi familiari, il padre Pietro, la madre Carlotta Bonaparte, discendente della famiglia di Napoleone, e il fratello Luigi. In mostra si ammirano capolavori come il ventaglio di seta con paesaggio giapponese realizzato a Parigi da Giuseppe De Nittis per la principessa Mathilde Bonaparte e opere insolite come i quattordici kakemono, rotoli di stoffa o carta dipinti con soggetti classici della pittura giapponese. Caratteristica unica di questi kakemono è di essere impreziositi da dediche, componimenti e autografi di illustri personaggi del tempo, letterati e artisti ma anche esponenti delle case reali d’Europa, che frequentavano casa Primoli. Si tratta di oggetti delicati e fragili e per questo abitualmente conservati in deposito che vengono ora proposti al pubblico dopo un attento restauro. La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è curata da Elena Camilli Giammei, Laura Panarese e Marco Pupillo. Organizzazione Zètema Progetto Cultura. Il catalogo della mostra (Gangemi editore) propone saggi che approfondiscono le tematiche dell’esposizione. (gci)

A SAN NAZZARO SESIA (NO) L’ARTE RICCA DI SIMBOLOGIE DI ABAL

È uno sguardo evocativo ricco di simbologie quello di ABAL, al secolo Alessandro Abruscato, che inaugura la mostra personale “Sguardi tra cielo e terra. Il mondo di ABAL” il 21 settembre alle 16,30, nella storica Abbazia dei Santi Nazario e Celso di San Nazzaro Sesia (NO). L’esposizione è a cura di Federica Mingozzi. Nelle intenzioni dell’artista, contenitore e contenuto si compenetrano e si completano: le nove opere esposte, otto dipinti e una installazione, infatti, sono state immaginate e realizzate a partire dalla storia dell’abbazia, che la tradizione vuole legata a un mondo medievale e simbolico. Uno spazio in cui si respira un’atmosfera spirituale e di pace, più volte fonte di ispirazione per ABAL. A completare il legame tra il suo mondo pittorico e questo luogo sono i paesaggi che evocano un contatto con la natura, luoghi immaginari dove si inseriscono figure femminili portatrici, con la loro sensibilità e fierezza, dei messaggi affidati dall’artista. “Sguardi tra cielo e terra” sarà la mostra di ABAL dopo la recente esposizione a Casa Antonio Ligabue, artista che ha fortemente ispirato la produzione di Alessandro Abruscato. La mostra vuole stimolare una riflessione sul percorso interiore e quotidiano dell’uomo, fatto di un susseguirsi di eventi: nascita, combattimenti, amore, sacrificio, elevazione spirituale. Tutto parte da un “grande zero” e con un infinito ripetersi di infinite nascite, combattimenti, amori, sacrifici, elevazioni, torna al termine di tutto, all’inizio, al “grande zero”. Secondo l’artista questo tema accomuna tutti, uomini e donne di ogni tempo, di ogni credo, di ogni estrazione: tutti siamo soggetti a questo percorso, ognuno vivendolo in modo unico e personale. Anche nella vita quotidiana: ogni giorno inizia con uno zero, attraversa tutte le fasi, e termina di nuovo con lo zero, fino a comporre la vita intera. Tutto inizia da un grande principio che è il medesimo fine della vita di ognuno, un Infinito che racchiude tutto fin da quando nasciamo. Questo concetto è rappresentato tramite l’installazione Zero che raffigura il simbolo dell’infinito. Da qui il percorso di visita prosegue attraverso otto opere pittoriche. Alessandro Abruscato (Galliate, 1983), conosciuto anche come ABAL, è un pittore italiano. Sin dalla sua giovinezza, ha nutrito una profonda passione per l’arte e la letteratura e nel 2020 ha deciso di dedicarsi alla pittura, e attualmente sta seguendo corsi di perfezionamento. Il suo lavoro si distingue per lo stile figurativo e per l’utilizzo di colori vivaci e intensi. Ogni opera nasce da un disegno che rappresenta soggetti reali o immaginari, persone e luoghi. Per ABAL, il colore è il mezzo attraverso cui esprime le sue emozioni interiori, come la felicità, il dolore, la malinconia, ed esplora le fragilità umane e le forze soprannaturali che governano il mondo. Le sue opere sono ricche di significati simbolici ed evocativi, che portano oltre la rappresentazione del reale, verso il misterioso e l’interiorità. Dal punto di vista stilistico e tematico la sua pittura omaggia alcuni movimenti storici dell’arte figurativa, tra cui il fauvismo, l’espressionismo e l’arte ingenua. In particolare, tra gli artisti che hanno influenzato il suo lavoro vi sono Antonio Ligabue, per la sua passione per la natura e il mondo animale espresso attraverso una forte gestualità segnata da un tratto rapido e deciso, Salvador Dalì, per la sua visione immaginifica e surrealistica del mondo, e Pablo Picasso per la sua capacità di mostrare le molteplici identità dei soggetti, trasformandone i volti in forme astratte e deformate. ABAL è anche un’artista multidisciplinare, che sperimenta in altri campi, oltre a quello della pittura. Dal 2021 ha fondato insieme all’economista Debora Cuccaro un’attività dedicata al dialogo tra il mondo dell’arte e quella della moda: ABAL FashionArt, concependo il tessuto come un nuovo materiale attraverso cui esprimere la propria creatività. Dal 2021 al 2023 ha vissuto a Malaga, in Spagna, dove ha approfondito figure come Picasso e Dalì, ed è successivamente rientrato in Italia. Alcune opere dell’artista sono entrate a seguito di donazioni in fondazioni: nel 2022 due opere nelle raccolte della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, nel 2024 nella Fondazione Duilio Zanni. Tra le sue mostre quella alla Casa Museo Antonio Ligabue nella primavera 2024. (gci)

(© 9Colonne - citare la fonte)