"Qualunque cosa si faccia è sempre un nutrimento per la mente. Per le idee nuove che devono venire o per quelle su cui si sta già lavorando. Quindi chi fa il mio mestiere sostanzialmente non si riesce mai a staccare…”. La cosa non sembra però pesare a Gianni Cardillo che - di quello che è il tormento di ogni creativo - ha fatto virtù. Sodale del successo delle commedie di Francesco Apolloni e tra i creatori della serie tv del commissario Nardone, incarna perfettamente la caratteristica principe dello sceneggiatore che - come sosteneva Suso Cecchi D’Amico - è la pazienza. Basilare per chi è chiamato a trarre caratteri, parole e storie da quello che è il magma sognante per antonomasia: l’idea di un film. “Il nostro ruolo iniziale è come quello di uno psicologo, un terapeuta. Dobbiamo ascoltare e accogliere quello che il regista ha in mente e poi cercare di svilupparlo senza andare a stravolgere l'idea iniziale e allo stesso tempo cercare di costruire una storia che sia solida dal punto di vista strutturale. Scrivere una sceneggiatura è un po’ come fare un progetto per costruire un palazzo. La prima cosa è che il palazzo stia in piedi. Poi si pensa a tutto il resto…”. Con il fascino elegante dei suoi natali siciliani e la simpatia della romanità acquisita, Cardillo da molti anni vive nel quartiere che si forgerebbe del titolo di ottavo colle di Roma se ce ne fosse uno tutto dedicato al cinema. In quella Monteverde dei villini primo ‘900, delle silenziose strade alberate, delle scalinate panoramiche e delle cancellate che racchiudono ombrosi giardini, dei piccoli negozi e delle rilassate caffetterie, scelta da uno stuolo di attori, registi e musicisti. Per limitarsi solo al cinema, tra i tanti, Nanni Moretti, Paola Cortellesi, Carlo Verdone, Michele Placido, Gabriele Lavia, Umberto Orsini, Nicola Piovani, Stefano Fresi, Riky Memphis, Raoul Bova, Edoardo Leo, Rocco Papaleo, Massimo Wertmuller… Peraltro nello stesso condominio di Cardillo abitano degli attori ed un piccolo produttore. Da qui distano poco lontano il condominio in cui abitarono Pier Paolo Pasolini e la famiglia Bertolucci, quello di Paolo Taviani, il liceo Morgagni di Elio Germano, la “casa dei fantasmi” di via Cavalcanti set di Magnifica presenza di Ozpetek. Ma c’è anche tutto un tessuto che compone la nuova borghesia romana, affannata e disorientata, buonista ma convintamente individualista, dalle passioni prontamente soffocate dal disfattismo, con il traguardo del benessere sempre spostato al giorno che verrà, spesso malinconicamente sola, chiusa in orizzonti che vanno dalla partita iva a quella di calcio. Ed è da questa umanità - che si incontra in un mercato, al bar, in un ufficio postale -, con storie tanto banali quanto complicate, che Cardillo trae linfa per dare contorni ai suoi protagonisti di film drammatici o commedie dai risvolti amari. “Quella che i francesi chiamano la comédie humaine, ciò che rispecchia la vita, in cui ti ritrovi, ti commuovi…” spiega nella sua videointervista per “Ciak, Azione!” della agenzia di stampa 9colonne. Ecco allora il ribaltamento emotivo di Roma Ovest 143 di Paolo Virzì (con Rocco Papaleo), uno dei cortometraggi che compongono il film collettivo Intolerance del 1996 (unico nella storia del cinema nazionale: ben 50 opere per altrettanti autori e 1000 tecnici al lavoro gratuitamente per realizzare un film contro le intolleranze ed i cui proventi hanno finanziato un ostello della Caritas per gli immigrati); la tossicodipendenza ne Il silenzio intorno di Dodo Fiori (2005), l’alienazione familiare di una figlia anoressica (Alba Rohrwacher) di In carne e ossa di Christian Angeli (2008), il femminicidio di Tenebra di Antonello De Leo (2022), la difficile relazione di coppia di Peripheric Love di Luc Walpoth, la tragicomica famiglia allargata del recente E se mio padre di Sole Tonnini (sorella di Massimo Ghini, ispirato alla loro stessa famiglia). E poi le trasposizioni filmiche delle commedie teatrali di Francesco Apolloni, che compongono l’Apolloneide per ironica definizione del suo autore. Ingranaggi perfetti che intrecciano amori, paure e desideri ed in cui Cardillo dà prova di solida scrittura: da La verità vi prego sull’amore con Pierfrancesco Favino a Fate come noi del 2001, che ha dovuto attendere due anni per essere distribuito (miglior sceneggiatura al premio Storie di Cinema) e nel 2013 il secondo capitolo – su Prime Video - di Addio al nubilato, storia “on the road” di questo fortunato “mercoledì da leoni” al femminile. Un sodalizio che si declina anche su toni impegnati come dimostra il monologo scritto a quattro mani “Saman. Vita e morte di una ragazza italiana", sulla terribile storia di Saman Abbas, diretto da Apolloni, che andrà in scena al teatro Off Off di Roma dal 31 gennaio al 3 febbraio, con Sara Ciocca protagonista. Opera drammaturgica che segue il thriller psicologico “Fuori piove”, romanzo di esordio dello sceneggiatore, del 2017.
La fiction è un altro settore che vede protagonista Gianni Cardillo: da Distretto di Polizia (2000) a Il commissario Nardone (2009), del quale è stato uno degli ideatori, a Medico in famiglia (2008-2010), ala serie tv per RaiPlay "L'appartamento", da lui ideata e scritta con Francesco Apolloni e che andrà sul set a febbraio con la regia Giulio Manfredonia. “Le piattaforme sono una ricchezza con la loro grande offerta di titoli, le serie televisive stanno crescendo molto a fronte di una forte domanda e dell’arrivo dei nuovi broadcaster che si sono aggiunti alle produzioni Rai e Mediaset - spiega -. Se aumenta la quantità è molto più probabile riuscire ad aumentare anche la qualità, che c’è ma non riesce ad essere distribuita come dovrebbe. Sono tanti i progetti di valore che i produttori scelgono di lasciare nei cassetti per ragionamenti legati solo a problemi economici. E’ sempre questo il problema del cinema italiano, che anche oggi spicca per creatività: quello di non essere una industria, come è negli Stati Uniti e di dover contare sui sostegni statali. Ecco perché dico che il cinema e la fiction italiani dovrebbero cominciare ad avere sempre di più una vocazione internazionale altrimenti si rischia di fare progetti per un pubblico molto ristretto. Non intendo imitare gli Stati Uniti, fare film action… ma, come ha dimostrato ‘Vermiglio’ che è arrivato ad essere candidato agli Oscar, fare film che raccontino l’Italia attraverso le sue storie più locali. C'è infatti una grande curiosità all’estero nei confronti della nostra cultura, del nostro modo di vivere”. Ne è un esempio l’unico lungometraggio di cui Cardillo è stato regista oltre che autore (seguito ad alcuni corti, tra cui Gabbie, in lizza per la vittoria del David di Donatello 2014). Si chiama Ristabanna, con l’ultima interpretazione di Ben Gazzara. Un film dalla storia tormentata: gravato da tagli di budget durante le riprese (“non è un film venuto come avremmo voluto io e Daniele De Plano, coregista e cosceneggiatore insieme a Mattia Betti che purtroppo non c'è più”), non è riuscito ad essere distribuito e, causa il fallimento del produttore, non è neanche approdato in tv (ma lo si trova su youtube). Eppure è stato accolto con grande successo al Festival di Shanghai: “E’ stato emozionante vedere il film in una sala con 3500 cinesi che hanno apprezzato molto questa commedia favolistica, vista da occhi infantili, ambientata tra le saline di Marsala, la mia terra”. Cardillo nasce 56 anni fa a Trapani. Dopo essersi laureato al Dams di Bologna, innamorato del teatro di Eugenio Barba e Jerzy Grotowski, pensava che la sua strada sarebbe stata quella di autore e regista teatrale di ricerca. Ed invece l’incontro con lo sceneggiatore Nicola Badalucco, anch’egli trapanese, gli fa cambiare strada. Lo sceneggiatore de “La Piovra” e de “La caduta degli Dei” di Luchino Visconti legge gli scritti del giovane Cardillo e gli consiglia di dedicarsi al cinema. Di lì a poco l’inizio della sua carriera con il trasferimento a Roma. Ma per Cardillo Badalucco è uno di quei nomi che ha chiuso definitivamente la stagione d’oro delle grandi firme letterarie per il cinema, da Flaiano a Guerra, da Sonego a Solinas, a Brancati: “Non tornerà più. E’ cambiato il modo di scrivere perché sono cambiate le richieste che i produttori ora fanno agli sceneggiatori. Oggi uno sceneggiatore deve fare tante cose contemporaneamente forse troppe e deve andare più veloce nella scrittura, senza poter fare i necessari approfondimenti. Forse ancora gli sceneggiatori americani possono fare sopralluoghi anche di mesi ma qui in Italia non è possibile e… si va su internet! E ai tempi di quei grandi nomi venivano stanziate per le sceneggiature cifre molto più alte, imparagonabili rispetto a quelle di oggi. Forse non tutti sanno che quella dello sceneggiatore, nell’audiovisivo, è la categoria più sottopagata perché quando parte la produzione del film ed ancora non ci sono tutti i fondi necessari, si risparmia sulla scrittura promettendo allo sceneggiatore che verrà pagato quando arriveranno. Ma questo è rischioso perché così facendo la scrittura sarà inevitabilmente più veloce e superficiale a scapito della profondità. E’ quello che oggi accade nel doppiaggio italiano che una volta era uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana del cinema. Inoltre anche se il ruolo dello sceneggiatore è molto importante ci sono casi in cui non viene neanche citato ed addirittura neanche invitato alla prima del film!”.
Molto, secondo Cardillo, nella domanda come nella fruizione del cinema da parte del pubblico (e quindi nelle strategie produttive) cambierebbe portando l'educazione alla visione nelle scuole: “Se si insegnassero i rudimenti della sceneggiatura, l’analisi della struttura filmica, delle inquadrature, dei costumi, delle scene, avremmo un pubblico capace di distinguere la qualità e quindi di chiederla. Si fanno corsi per insegnare a girare un cortometraggio ma il senso non è creare sceneggiatori e regista ma piuttosto uno spettatore attivo capace di analizzare quello che sta vedendo e che, oltre ad apportare benefici al settore, in termine di qualità e presenza nelle sale, permette anche ai ragazzi di conoscere meglio se stessi. Perché quando tu guardi un film, ma anche leggi un romanzo, ascolti una musica, hai la possibilità di guardare dentro te stesso. Ma devi avere gli strumenti per farlo, per scendere davvero in profondità. Così, ad esempio, puoi capire film che arrivano a cambiarti il modo di pensare, la tua stessa percezione del mondo, come sono stati per me Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, Ludwig di Luchino Visconti e 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. Una delle cose che mi ha fatto più conoscere me stesso è stato un corso di avvicinamento ai vini naturali. Bevevo il vino come tanti ma con stupore ho scoperto che non usavo il gusto e l'olfatto per distinguere sapori ed odori. Decenni di cibi industriali ci hanno allontanato dalla consapevolezza dei nostri sensi. Ecco, la stessa cosa vale per l'audiovisivo. Guardiamo ma non sappiamo quello che stiamo guardando, siamo solo spettatori passivi. Il paradosso è che siamo sempre più bombardati da materiale audiovisivo di vari livelli e qualità, a partire dai social media, ma non abbiamo gli strumenti per capire come sono strutturati. E lo stesso modello di insegnamento è totalmente obsoleto mentre dovrebbe utilizzare i nuovi linguaggi che i ragazzi usano ogni giorno tranne che quando stanno a scuola. Pensiamo ai podcast, agli audiolibri… Quindi bisognerebbe fare un ragionamento a 360 gradi, andare alla radice non tanto di ciò che si insegna ma di come lo si insegna. Ed in questo l'audiovisivo potrebbe essere molto utile. Invece questo non si fa. Ed anzi si tende ad avere un pubblico non informato. Forse, mi dico, questa è anche una volontà…”. (19 dic - red)
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