“Anch’io sto vedendo un grande movimento di preghiera, organizzata da gruppi e parrocchie e anche spontanea. È una cosa molto bella, un’espressione di grande affetto” e “sarebbe bello se questa fosse l’occasione per parlare della morte in termini più sereni. Di mostrare che cosa significa per i cristiani, i credenti, proprio guardando alla testimonianza del Papa”. Lo afferma in una intervista al Corriere della Sera l’arcivescovo Bruno Forte, teologo al quale Francesco, pochi mesi fa, ha chiesto di presentare in Vaticano la sua ultima enciclica, Dilexit Nos. “Non c’è dubbio che in questi momenti si rimetta totalmente nelle mani del Signore, sapendo che il disegno di Dio, quale che sia, ci precede. È questa sua serenità, il suo affidamento totale, a essere esemplare”, aggiunge. “Quando si fa tanto chiasso sulle ipotesi di conclave, la successione, si dimentica l’aspetto più importante: un uomo che è sotto gli occhi del mondo e ci sta dando la testimonianza di come un credente affronta la malattia, consapevole che può anche andare incontro alla fine della vita, e sperimenta tutto questo con abbandono, serenità e fiducia in Dio. Perché la morte, per un uomo di fede, è un passaggio. Non si interrompe nulla. Là c’è una porta”. Il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita come Bergoglio, con un’espressione dantesca chiamava la morte il “duro calle”… “Questo non si discute. Ma ‘duro calle’ significa, appunto, che c’è un passaggio. Certo un passaggio arduo, agonico. Con la morte si combatte, in greco agonía significa proprio questo: lotta. Però, in una visione di fede, di là dalla morte non c’è il nulla”. (25 feb - red)
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