La maggioranza sottolinea con orgoglio che mai, prima d’ora, il finanziamento del Sistema sanitario nazionale era stato così alto. Secondo l’opposizione, invece, è l’esatto contrario: viviamo un periodo di pericoloso definanziamento. Hanno ragione entrambi: in cifra assoluta il finanziamento è in crescita, ma in rapporto al Pil il finanziamento è in calo. Quanto ai cittadini loro non hanno dubbi, perché il declino lo vivono sulla propria pelle: prenotare una prestazione pubblica è sempre più complicato, con attese spesso lunghe e appuntamenti fuori tempo massimo, con la conseguente necessità di ricorrere all’intramoenia, o al privato puro. Fondato, così come è oggi, nel 1978 con il principio di universalità e gratuità delle cure, il Servizio sanitario nazionale rappresenta una delle colonne portanti dello Stato sociale italiano, e anche un vanto a livello internazionale, un sistema che in molti ci invidiano. Tuttavia, negli ultimi anni, il sistema sta affrontando sfide sempre più complesse: i fondi certo, ma anche carenze di personale e di strumentistica, e la necessità di adeguarsi a una popolazione la cui demografia sta cambiando, con sempre più anziani (82,5 anni l’aspettativa di vita al 2023, una delle più alte al mondo) dando adito a nuove sfide, basate sempre di più sul contrasto alle cronicità. Il tutto con una spesa sanitaria pubblica italiana che è circa il 6,2%, in calo negli ultimi anni e inferiore a quella di paesi come Germania (10,1%) e Francia (10%) secondo i dati Ocse 2023. Proprio qui sta il nodo politico più attuale. Le opposizioni accusano l’attuale governo di centrodestra di definanziare il Ssn rispetto al Pil: nel 2020, durante il governo Conte bis, la spesa era infatti salita al 7,3% del Pil. La maggioranza si affida invece ai numeri netti: la legge di bilancio per il 2025 ha aumentato di 6,4 miliardi di euro la spesa in sanità (2,37 miliardi nel 2025 e 4,12 miliardi nel 2026), portando il Fondo alla cifra 136,48 miliardi nel 2025. “Numeri che parlano chiaro” ha spiegato la premier Giorgia Meloni. Chi ha ragione allora? Tutti e nessuno: è vero che in termini relativi la spesa è diminuita, ma conta il fatto che il 7,3% del 2020 è influenzato da un investimento senza pari dovuto all'emergenza sanitaria e dal netto calo del Pil registrato nel periodo Covid. Ed è vero come 136,8 miliardi rappresentano una cifra record ma è vero anche che, come sottolinea la fondazione Gimbe, negli ultimi 15 anni la spesa sanitaria pubblica è cresciuta meno dell’inflazione e delle stesse necessità demografiche: il Ssn ha sempre più il respiro corto con regioni, soprattutto al Centro- Sud, in grave difficoltà.
IL NODO DEL PERSONALE. Difficoltà che sono dovute anche e soprattutto dalla carenza di personale, più che di strutture: mancano almeno 65mila infermieri, secondo dati Fnopi 2023, e 20mila medici, con picchi di carenza al Sud. L’età media dei medici è 56 anni, i più anziani d’Europa, e molti scelgono il privato o l’estero per stipendi più alti: solo nel 2022, circa 10mila professionisti sanitari hanno lasciato il Ssn, per pensionamento, passaggio nel privato o fuga all’estero. Secondo Andrea Bottega, segretario del Nursind, il principale sindacato degli infermieri, “se non si comincerà a risolvere il problema ormai cronico della carenza di infermieri, il nostro Ssn sarà sempre più a rischio sopravvivenza. Sono infatti i professionisti che mancano di più, come ripete spesso anche il ministro Schillaci". Il rischio dunque è che “interi reparti e addirittura ospedali chiuderanno. Non solo, ma corriamo il pericolo di mandare a ramengo anche le case di comunità e, quindi, di vanificare gli investimenti del Pnrr". La fotografia dell’oggi si traduce in liste d’attesa insostenibili: i tempi medi per una visita specialistica sono di 74 giorni (in Lombardia 65, in Calabria 120), e per gli interventi chirurgici non urgenti fino a 12 mesi. Un quadro a macchia di leopardo, con forti disuguaglianze territoriali, a causa del cosiddetto federalismo sanitario: al Nord ci sono 3,7 posti letto per mille abitanti, al Sud appena 2,9. E la mortalità evitabile, spiega il ministero della Salute, è del 30% maggiore al Mezzogiorno.
LO SCONTRO POLITICO. La questione di come finanziare il Ssn è perennemente al centro dello scontro politico: centrosinistra e sindacati chiedono un aumento della fiscalità generale per la sanità, il blocco del tetto di spesa per le assunzioni, anche attraverso tasse specifiche, come ad esempio la sugar tax, destinata a entrare in vigore da luglio 2025 dopo anni di rinvio. Ma ovviamente non basta. Il centrodestra punta su un maggiore coinvolgimento del privato accreditato e su una spending review, con tagli agli sprechi. Inoltre l’Europa fissa limiti al deficit pubblico, ma molti (come 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra) chiedono di escludere la sanità dai vincoli di bilancio, soprattutto dopo la disponibilità della Commissione a farlo per le spese militari. Sul privato accreditato non manca, nel dibattito politico, anche “un elemento di natura ideologica e disinformativa” come lo definisce Gabriele Pelissero, presidente dell’Associazione italiana dell’ospedalità privata (Aiop), che riunisce quelle strutture di diritto privato che di fatto sono parte piena del Servizio sanitario nazionale: quando si contrappone il pubblico al privato, spiega Pelissero, “dobbiamo essere consapevoli che il Ssn è una realtà da sempre composta da due attori, la componente di diritto pubblico e la componente di diritto privato”. Se oggi il Servizio sanitario nazionale è in grado di assicurare un grande volume di prestazioni “è grazie anche a quella componente di privato che copre ad esempio il 34% di tutte le attività di specialistica ambulatoriale”, contribuendo così ad alleggerire notevolmente le liste d’attesa: “La presenza del privato che lavora per il Ssn è una realtà imprescindibile se non si vuole generare un tracollo rovinoso”.
L’ULTIMO DDL. Lo scontro politico, nei fatti, è sempre attuale, filo costante di ogni legislatura, e si è palesato anche in questi giorni in Senato, nel corso dell’esame di uno degli ultimi provvedimenti licenziati dal governo in materia di sanità, il ddl recante misure di garanzia per l'erogazione delle prestazioni sanitarie, a prima firma del ministro della Salute Orazio Schillaci (approvato in prima lettura il 15 aprile dall’aula di Palazzo Madama). “Il sistema sanitario italiano è un sistema universalistico certo, ma va innovato – sottolinea Elena Murelli, senatrice della Lega e capogruppo del Carroccio in Commissione Affari sociali - Dobbiamo fare in modo che sia sempre più vicino al paziente e sia sempre più personalizzato: bisogna investire nella ricerca e qui i sistemi tecnologici possono darci una mano”. Per questo motivo, spiega la parlamentare di maggioranza, “diversi strumenti sono stati inseriti nei decreti precedenti, come quello sulle liste d’attesa, prevedendo un maggiore controllo sull’efficacia e l’efficienza dei soldi spesi dal sistema nelle diverse regioni. Nell’ultimo disegno di legge sulle prestazioni sanitarie abbiamo invece inserito alcune attività, come per esempio i Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) oncologici omogenei su tutto il territorio nazionale. Andremo sicuramente a implementare diverse attività in altri decreti – assicura Murelli - che possano portare sempre di più la medicina a fianco dei pazienti sul territorio, e fare in modo che i professionisti sanitari possano seguirli al meglio dalla loro casa con uno strumento come la teleassistenza, all’interno delle case di comunità che saranno sviluppate nel Pnrr, ma anche all’interno delle strutture ospedaliere”. Molto critiche le opposizioni: "Siamo al quarto provvedimento sul tema” ricordava qualche solo pochi giorni fa Ylenia Zambito, senatrice Pd, menzionando “il decreto liste d'attesa, vuoto, poi quest’ultimo ddl che avrebbe dovuto colmare i vuoti e invece non lo fa e infine le due leggi di bilancio che hanno sostanzialmente definanziato il servizio sanitario nazionale pubblico. L'idea che ha questo governo, anche se non lo vuole ammettere dichiarando che è il governo che ha messo più fondi sul Servizio sanitario nazionale, è invece di definanziarlo in modo costante. Le pochissime risorse messe sono volte a spostare il finanziamento sulla sanità privata”. Nell’ultimo ddl sulle prestazioni sanitarie, “l'unica risposta al problema delle liste d'attesa è proprio quella di comprare prestazioni sanitarie dal privato: noi non ci stiamo e continueremo a dare battaglia" assicura la parlamentare dem. Visione diversa su questo punto da parte del presidente di Aiop, Pelissero, per il quale il privato accreditato marca una differenza col pubblico puro: “quando riceve denaro pubblico, lo riceve sempre e solo a fronte di prestazioni effettivamente erogate ai cittadini” e mai a fondo perduto. “Il livello di efficienza che il privato accreditato può esprimere è il massimo possibile, ha il vantaggio di essere più rapido nel reperimento di personale e nella funzionalità operativa. E può rispondere in maniera più rapida, soprattutto al problema delle liste di attesa ma anche nel ricovero”.
CHE FARE? Le soluzioni? Un aumento del finanziamento in primo luogo, ovviamente. E poi un piano di assunzioni e formazione per medici e infermieri, ma anche di razionalizzazione. “Il nostro Servizio sanitario nazionale ha bisogno di risorse per attrarre personale – conferma Bottega - È urgente però pure intervenire con norme che svecchino il sistema ancora troppo 'medicocentrico' per reggere i nuovi bisogni di salute. Ecco perché confidiamo nella riforma del riordino delle professioni sanitarie, che a breve approderà in Consiglio dei ministri, e soprattutto nel recepimento dei nostri input per valorizzare gli infermieri. Non si può pensare neanche di snellire le liste d'attesa senza cedere attività e responsabilità anche alle professioni non mediche". E poi, ancora: riduzione delle disparità regionali, tramite meccanismi di riequilibrio, e razionalizzazione della spesa, perché la lotta agli sprechi è necessaria. Ma certo il vero punto per il futuro, anche per Aiop, “è sviluppare metodi e criteri di gestione per rendere più efficienti le risorse finanziarie che lo Stato mette all’inizio”. (Sis – Roc)
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